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La regola dell'equilibrio
 
La regola dell'equilibrio 2015-06-03 07:28:45 SARY
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
SARY Opinione inserita da SARY    03 Giugno, 2015
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Deontologia umana

La rettitudine dovrebbe essere di casa ai piani alti della società. La giustizia è un meccanismo difettoso, si inceppa e funziona a strappi, nonostante i restauri e i cambi strategici, il difetto di produzione è così subdolo e saldo da risultare irrisolvibile. La corruzione è radicata e diffusa anche tra la casta dei giusti. Il soggetto intrappolato tra gli ingranaggi ripone la sua fiducia nei Giudici, è dalla loro bocca che escono i verdetti finali, sono le loro mani che impugnano l’assoluzione o la condanna.
L’avvocato Guido Guerrieri lo sa bene, una vita spesa nelle aule dei Tribunali, tra vincite e sconfitte. Un nuovo caso penale lo terrà occupato, lo butterà nel baratro, lo obbligherà a interrogarsi sulla coscienza, sulla moralità, sul significato della parola giustizia.
Un Guerrieri nostalgico, in preda ad una velata crisi di mezza età, impegnato in una lotta interiore estenuante con la bilancia della giustizia. Il disprezzo verso la professione e verso l’ambiente che lo circonda lo rendono triste e disilluso. Ci sono nel corso della narrazione battute d’arresto, l’avvocato si perde tra i ricordi, tra rimpianti e rimorsi, gli anni passano e anche l’entusiasmo iniziale.
Vi è molto di diritto penale e di deontologia forense/umana, Carofiglio ci catapulta nelle aule della facoltà di giurisprudenza, non serve prende diligentemente appunti perché il professore è in gamba e spiega nei dettagli, forse non a tutti potrebbe attrarre particolarmente la materia trattata. Il caso specifico, di per sé, non è tra i più interessanti.
Concludendo, consiglio la lettura di questo romanzo a chi si è affezionato all’avv. Guerrieri nelle precedenti puntate.

“Il gergo dei giuristi è la lingua straniera che imparano – che impariamo – sin dall’università per essere ammessi nella corporazione. È una lingua tanto più apprezzata quanto più è capace di escludere i non addetti ai lavori dalla comprensione di quello che avviene nelle aule di giustizia e di quello che si scrive negli atti giudiziari. Una lingua sacerdotale e stracciona al tempo stesso, in cui formule misteriose e ridicole si accompagnano a violazioni sistematiche della grammatica e della sintassi.”

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