Dettagli Recensione
Il colore viola
Franco Bordelli, commissario di pubblica sicurezza in servizio presso la Questura di Firenze nei primi anni ’60, è il personaggio protagonista assoluto dei più conosciuti tra i romanzi dello scrittore fiorentino Marco Vichi: lo ritroviamo in “Il Commissario Bordelli”, “Il nuovo venuto” “La forza del destino”, e altri ancora. Intendiamoci: Vichi è uno scrittore vero, non un giallista sui generis, o meglio non solo un giallista, scrive bene e scrive anche di altro, insegna a scrivere nei suoi corsi di scrittura creativa nelle università, ma a Bordelli deve fama e notorietà. Diciamolo subito, e chiaro: i suoi libri non sono romanzi gialli classici, niente misteri impenetrabili, analisi scientifiche molto raffinate, fini approfondimenti psicologici della mente criminale o simili. Sono invece meglio definite come ritratti, ritratti d’ambienti, di cose, di persone, permeate tutte dalle comuni difficoltà dell’esistenza e dalle azioni e passioni umane che talora, quando spinte al parossismo, pervengono al delitto. Bordelli ne prende atto, e con calma, nello scorrere del quotidiano, rimette ordine nel caos indotto dall’atto criminoso: esamina, indaga, riflette, e intanto indulge nel suo essere un “maledetto toscano”, tra un discorrere con il suo giovane, e troppo serio, subordinato sardo, tra le troppe sigarette fumate, le riflessioni con la sua amica del cuore, una ex prostituta letteralmente dal cuore d’oro e dalla mise pacchiana ed inverosimile, ed i pasti pantagruelici della buona, e pesante, gastronomia fiorentina servitogli dal suo oste prediletto.
E alla soluzione perviene, una soluzione semplice, razionale, una soluzione sempre costantemente insita nelle tipiche debolezze umane, il denaro, il sesso, le morbose depravazioni ed inclinazioni dell’individuo.
Dicevamo che Vichi è, in un certo senso, un ritrattista, disegna e descrive al meglio ambienti, cose e persone. E poiché è un fiorentino, ecco che dalle sue pagine emerge Firenze, la Firenze degli anni sessanta, la Firenze ancora rustica e genuina, la Firenze della pappa col pomodoro e dei tavolacci di legno rustici d’epoca medievale. Intendiamoci, è sempre la Firenze della Signoria, città d’arte e meta dei turisti di tutto il mondo, con i suoi monumenti, i musei, l’Arno e Ponte Vecchio, eppure è anche, e soprattutto, nei romanzi di Vichi, la città vera, la città con i suoi quartieri, Campo di Marte, Fiesole in collina, Rifredi, Careggi, San Frediano, le sue strade, i suoi vicoli, le sue botteghe, gli artigiani, i passanti frettolosi, i ragazzi intenti alle loro bischerate, le ragazze con negli occhi lampi di malizia e timidezza insieme. Vichi è il cantore della “fiorentinità”, esplora la sua città, ne saggia gli umori, gli odori, le atmosfere, la fissa nei colori color seppia di una vecchia foto in bianco e nero, quasi volesse preservare lo spirito fiorentino autentico, prima che questo venga diluito dai tempi. Anche per questo, la Firenze di Vichi è la Firenze degli anni ’60, e Vichi sta a Bordelli come Camilleri sta a Montalbano, se quest’ultimo scrittore di Porto Empedocle è il cantore della sicilianità, Vichi stende invece l’elogio di Firenze e della sua essenza. Se la Sicilia è solarità, platealità, omertà e fierezza, Firenze è spontaneità, praticità, schiettezza e altrettanta fierezza.
Fieri e ostinati, uomini comuni ma forti della loro semplicità sono Montalbano e Bordelli, ambedue alfieri di quello status di servitori dello stato, di custodi di leggi da far rispettare, senza per questo rinunciare alle caratteristiche di umanità, buon senso e comprensione che fanno di un uomo di legge un buon poliziotto, un poliziotto che è prima di tutto un uomo, partecipe delle debolezze dei suoi simili spesso solo un po’ più sfortunati. La fiorentinità di Vichi percorre tutti i suoi romanzi: si nota nella fierezza con cui il nativo si rimira ancora e sempre il Duomo e Palazzo Vecchio, nella battuta sempre pronta, nella genuinità sobria delle persone, fatte come una pagnotta di buon pane senza sale, nel mangiare le pappardelle al sugo di cinghiale o i crostini fatti con i fegatini, nello sdrammatizzare tutto con una battuta sarcastica o salace, secondo i casi, nel buon senso imperante che li porta ad ammirare le cascine come un bel parco di giorno e starsene alla larga di notte.
Bordelli è un fiorentino, uno di quelli tosti, ritagliato da Vichi sull’impronta “del su’ babbo”, e si vede dalla tenerezza ed il rispetto con cui Vichi lo descrive.
Bordelli è in questi libri ritratto alle soglie della pensione o quasi, non è vecchio per la sua età, non per i criteri attuali, oggi sarebbe tranquillamente in servizio e per parecchia anni a venire, in età da pensione lo è forse per l’epoca in cui vive, ma è soprattutto “vecchio” della vita, è quello che si dice un uomo vissuto, uno che ne ha viste parecchie delle miserie umane, e di queste appare in un certo senso permeato. La guerra da poco terminata, su di lui, come su tanti, ha lasciato i suoi segni: è stato un valoroso combattente dell’eroica Brigata San Marco, prima nell’esercito regolare e poi, dopo il ribaltone, nella san Marco badogliana, a fianco dei partigiani. La guerra, combattuta su ambo i fronti, e da tutti i punti di vista, l’ha lasciato…svuotato, stanco per i troppi lutti e per le profonde ingiustizie di cui troppe volte è stato testimone, ed il suo servire la legge è un po’ sopra le righe, volte più a correggere eventuali smagliature che a rappezzare gli stravolgimenti del codice penale.
In “Morte a Firenze” Bordelli indaga sul peggiore dei delitti, lo scempio di un ragazzino, violentato e ucciso, un classico e casuale omicidio a scopo di libidine perversa.
E quasi a voler annegare questo scempio, a rimuovere con una caterva d’acqua e fango simile barbarie, ecco che si aprono le cateratte del cielo, l’ Arno gonfio e minaccioso straripa inondando la città in quella che verrà definita l’Alluvione, con la a maiuscola e senza necessità di altri aggettivi.
L’alluvione di Firenze è lo scenario di questo romanzo, e a fianco alle scene nobilissime e magistralmente descritte dei soccorritori pervenuti dall’ovunque a mettere in salvo ostinatamente e coraggiosamente e le persone e le cose preziose dell’antichità, Vichi descrive lo svolgersi dell’indagine, rimarcando come il limo, il fango, il sozzume non è tanto quello depositato nelle cantine e nei piani bassi delle case della città, ma quello, ben più putrido, che si aggira nell’animo umano. Nel bottegaio che vende bistecche al sangue come nel giovane di buona famiglia, nel giovinastro come nel cardinale, la melma è nel cuore di tanti insospettabili; Bordelli scava a piene mani, aiuta lo sgombero delle acque della città e intanto perviene, immerso nel fango fino a mezza coscia, mentre altro fango, ben più venefico, gli avvelena l’anima e il cuore, alla soluzione e ai colpevoli. Ma certi eventi, certe persone, sono veramente come una calamità naturale: colpiscono e fanno male, a chi tocca tocca, e poi si ritirano incolpevoli ed impuniti. Tocca anche crudelmente Franco Bordelli, colpito nei suoi affetti, e brutalmente, e impotente contro il disastro…almeno in questo libro. La resa dei conti, non una vendetta ma una catarsi finale, sarà nel romanzo successivo a questo.
In definitiva un buon libro, un bel romanzo da leggere. Piacerà in particolare a chi è di Firenze e a chi Firenze ama, e sono tantissimi, non è difficile capirlo, Firenze è una città unica, nel cuore di tutti coloro che l’hanno potuta vedere almeno una volta in vita loro.
Piacerà molto di più a chi ricorda l’Alluvione, e si commuove ripensando a quei giorni, a quei telegiornali in bianco e nero e a quelle immagini di giovani corsi da tutte le parti del mondo a mettere in salvo i tesori e le opere d’arte appartenenti non tanto ai Medici ma a tutta l’umanità intera. Incoraggiandosi a vicenda, ridendo e scherzando, aiutandosi con amicizia e solidarietà, schietti e sinceri sotto la pioggia, buggerandosi dell’Arno che premeva minaccioso contro i piloni di Ponte Vecchio, con la lingua pronta e bischerate a biffezze, facendo vivere, evidenziando con chiarezza, pur nel pericolo, anzi sbeffeggiando il pericolo, quello che chiamiamo, solennemente, fiorentinità.
Indicazioni utili
Commenti
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |
Ordina
|
2 risultati - visualizzati 1 - 2 |
Ferruccio