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Ossessione paterna
Conoscete, vero, Sandrone Dazieri? E' un nome che certo non possono dimenticare gli amanti del genere noir italiano, stile metropolitano alla Scerbanenco per intenderci, autore della fortunata e ben riuscita saga del 'Gorilla' ma che con questo nuovo romanzo decide di avventurarsi nel genere affine del thriller poliziesco.
E sicuramente ha tutte le carte in regola per farlo, poichè oltre alla sua pregressa esperienza come scrittore ha anche realizzato sceneggiature per diverse fiction di grande popolarità nel panorama 'poliziesco' italiano.
Sa quindi come lasciare il segno nei suoi lettori e sa che è sempre garanzia di successo puntare sull'effetto sorpresa, sulla verità tenuta nascosta sino alla fine, mascherata da storie secondarie che poco alla volta si sgretolano come matrioske sino al colpo di scena conclusivo, imprevedibile ed inatteso.
Uccidi il padre è infatti un romanzo che vuole sorprendere, vuole stupire il lettore e disorientarlo presentando una vicenda che inizialmente sembra muoversi nei confini classici di un'indagine investigativa ambientata nella capitale ma progressivamente si allarga a dismisura temporalmente e geograficamente mettendo in relazione tra loro episodi terroristici, organizzazioni e segreti di Stato risalenti a diversi decenni prima.
E l'intento di Dazieri è evidente sin da subito, sin dal titolo direi: un titolo forte, sconcertante, un 'comandamento' in chiara contrapposizione con quello cristiano, un atto contro natura e contro morale, un ordine imperativo a cui potrebbe sottostare solo una persona la cui coscienza è stata annullata e quindi plasmata secondo nuove regole, nuovi schemi imposti dal suo creatore, il Padre.
Ed il Padre sceglie Dante Torre come suo figlio prediletto, rapito in tenera età dalla sua vera famiglia e rinchiuso in un silo di pochi metri quadrati, senza alcun altro contatto col mondo esterno se non una finestrella tramite la quale il nuovo Padre adottivo lo nutre, lo istruisce e lo educa secondo la sua volontà.
E quando, dopo ben dieci anni, Dante riesce a fuggire dal Padre sfruttando una crepa in una parete non ha certo intenzione di comportarsi come il più famoso 'figliol prodigo', sicuramente non torna da lui ma scappa, lontano, il più lontano possibile, per dimenticarlo, per ricostruirsi la sua vita, la sua identità.
Ma il Padre non lo abbandona, il Padre lo osserva crescere nel mondo.. forse era proprio questo il suo scopo, lasciarlo libero nel mondo per studiarlo, compiacersi della sua creazione.. perchè Dante ora non è più colui che crede di essere, Dante ora è il Figlio.
Un piano perfetto.. o quasi, sin quando la poliziotta romana Colomba Caselli coinvolge Dante nelle indagini per la scomparsa di un bimbo di sei anni dopo il ritrovamento del corpo decapitato della madre.
E la scelta di Dante come supporto nelle indagini non è casuale, sia per alcune somiglianze col suo rapimento seppur avvenuto molti anni prima sia per le capacità acquisite durante la sua prigionia, un potere di deduzione sopra la norma che gli consente di percepire ed elaborare anche i minimi particolari di tutto ciò che osserva, una specie di Sherlock Holmes in borghese.
Non nascondo che personalmente gradisco maggiormente l'anima noir di Dazieri ma questo suo esordio nel thriller è sicuramente apprezzabile: ritmo incalzante, adrenalinico ma sapientemente dosato, inframmezzato con momenti più introspettivi ed arricchiti da dialoghi ben curati che consentono di soprassedere su alcuni eccessi, ad esempio le abilità di combattimento corpo a corpo della nostra poliziotta, da far invidia a Jean Claude Van Damme, o l'acume sin troppo acuto di Dante.
Una trama fitta e ricca di colpi di scena sino all'ultimo imprevedibile, inimmaginabile resoconto finale.
E sarebbe stato inatteso anche per me se non avessi visto un film, citato anche nel romanzo, a cui la storia di Dante e del Padre è sicuramente ispirata.