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Il tuo posto nella ragnatela
Il primo romanzo di David Proh narra una piccola vicenda intessuta di sovrannaturale (o forse no?) ambientata in un cupo paesino montano che vien facile collocare fra le Alpi lombarde, essendo originario il nostro di Sondrio. Sul finire del secolo scorso – il che consente l’esibizione di qualche anticaglia informatica - la giovane Arianna comincia a pensare di essere una strega perché i destinatari dei suoi attacchi d’odio (anche momentanei) tendono a fare una brutta fine: la faccenda si complica quando una sua insegnante le racconta una storia parallela avvenuta durante la sua adolescenza, lasciando il loro rapporto sospeso tra attrazione e repulsione. Attorno a loro si muove un buon numero di figure di contorno che offrono punti di vista differenti in modo più o meno lieve, rafforzando l’impressione che il maleficio peggiore sia quello che Arienna (ma perché chiamare il paese con un nome così simile a quello della protagonista?) esercita sui suoi abitanti, costretti, quando va bene, a uniformarsi o andarsene. Come testimoniato dal lungo flashback, forse il male vero si annida nella piccola-città-bastardo-posto, in un’eco kinghiana che conduce a un finale migliore della media consueta del Re. Detto che il libro mi ha riportato alla memoria per motivi diversi un vecchio romanzo Bonelli di Diego Simeoni, ‘Stria’, e un ancor più antico lavoro di Gianfranco Bettin, ‘Nemmeno il destino’, la lettura di queste centocinquanta pagine scorre veloce e sa coinvolgere perché è capace di solleticare la curiosità sull’evolversi della trama e, al contempo, riesce a immergere il tutto in un’atmosfera opprimente al punto giusto. Ovviamente, non tutto funziona, ma sarebbe anche stato eccessivo pretendere il contrario: al dilà del problema (oggettivo) della mancanza di un buon editing, che comunque affligge tutti i lavori pubblicati in proprio, e da quello (soggettivo) di qualche accento di troppo da ‘giovani adulti’, ci sono altri aspetti che sarebbero potuti essere gestiti con maggiore efficacia. Il meno grave è l’eccesso di citazioni, in special modo musicali – e lo scrive un accanito citazionista: non sempre i riferimenti si armonizzano al fluire del racconto, rallentandolo e facendo calare la tensione. Più problematica è la gestione della pletora di personaggi, con alcuni che, seppur in primo piano, non sembrano avere una funzione narrativa definita: in poche parole, si poteva, ad esempio, fare a meno di Alessio e della madre (o almeno ridimensionarli in modo drastico) senza che l’insieme ne risentisse, anzi, magari ne avrebbe guadagnato in compattezza.