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Il capolavoro di Camilleri
Credo che se avesse potuto leggerlo Leonardo Sciascia ne sarebbe rimasto incantato, così come lo sono stato io. Intendiamoci, ed è una premessa indispensabile, Il birraio di Preston non è il solito romanzo di Camilleri, gradevole, appassionante, con la presenza magari di qualche spunto e di qualche fine civile; è invece molto di più e anche il linguaggio usato, quel siciliano italianizzato, che è una caratteristica dell’autore, è assai più comprensibile che in altre sue opere; la struttura del racconto è inoltre costituita da un alternarsi temporale, un prima, un durante e un dopo, trovata che in genere può disorientare, ma che se ben congegnata finisce con il costituire un ulteriore motivo di piacevolezza.
La vicenda è tortuosa, i personaggi sono tanti, ma qui Camilleri è senz’altro riuscito a esprimere il meglio del suo talento, raccontando di un fatto accaduto ben più di un secolo fa, quando l’isola era da poco parte del Regno d’Italia e se qualche spunto è reale, attinto dall’Inchiesta parlamentare sulla Sicilia del 1876, il resto è frutto di pura fantasia creativa. Tutto ruota intorno alla decisione del prefetto toscano di Montelusa di inaugurare il teatro di Vigata con la rappresentazione di un’opera lirica, appunto Il birraio di Preston. E questo è un fatto vero, come i disordini che ne conseguirono, poiché gli abitanti si opposero fermamente a questa decisione, imposta dall’alto e perciò non di loro gradimento, qualunque fosse il valore dell’opera. Come dicevo i personaggi sono tanti e quasi sembrano lottare, sgomitando, per ritagliarsi un angolo di notorietà, dal più umile al più altolocato. Alcuni sono delle vere e proprie macchiette, che Camilleri si diverte a dipingere a suo modo, facendo loro interpretare alcuni passaggi che strappano più di una risata; altri invece sono seri, troppo seri, al punto anch’essi da muovere al riso, come le figure del prefetto e del questore.
Camilleri ci narra di questa rappresentazione operistica, dell’incendio del teatro e delle indagini successive e nel parlarci di questi fatti e di questa varia umanità finisce con il descrivere non solo la Sicilia postunitaria, ma anche l’Italia d’oggi, percorsa da interessi segreti che stanno sotto l’apparenza degli eventi, di una realtà ufficiale così dissimile dalla realtà effettiva, in un paese in cui, vigendo un sistema di potere capace di manipolare la verità, può accadere che l’onestà diventi una colpa e che invece la criminalità finisca con l’essere un merito.
Quando il travisamento della realtà è imperante ed è pratica comune, non è più possibile discernere il vero dal falso, il galantuomo dal disonesto, in un sistema che spegne sul nascere le speranze, che è auto conservativo, che tutto soffoca, obliando il passato e infinocchiando il presente.
Non tutti i personaggi sono così, solo quelli che detengono le leve del potere, i funzionari di stato, i politici e i malavitosi; gli altri possono anche essere onesti e pure eroici, ma per i burattinai che muovono i fili di un’eterna rappresentazione non sono altro che comparse, buone solo a piegare la schiena, ad apparire sul palcoscenico e a rimanervi per il tempo che sarà ritenuto necessario, per poi scomparire, come oggetti usati e inutili che non meritano nemmeno l’attenzione del robivecchi.
Tutto era così al tempo dell’incendio del teatro di Vigata, lo fu anche in seguito, lo è oggi e, ahimé, lo sarà anche domani.
Il birraio di Preston è un autentico capolavoro.
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