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Albergo Italia
 
Albergo Italia 2014-08-06 13:28:59 Domitilla Ganci
Voto medio 
 
2.8
Stile 
 
2.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
Domitilla Ganci Opinione inserita da Domitilla Ganci    06 Agosto, 2014
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Suggestioni d'Africa

Soffia il vento bollente del deserto su questo romanzo breve di Carlo Lucarelli.
La trama, letta in fretta sulla quarta di copertina, mi sembrava proprio adatta per la stagione (strana stagione, ma pur sempre estate…).

Si tratta di un giallo storico, insolito per argomento ed ambientazione. Lo sfondo è l’Africa orientale nel corso del periodo coloniale. La dominazione italiana dell’Eritrea alla fine dell’ottocento, è una parte della nostra storia non molto conosciuta e piuttosto interessante. Un sogno di grandezza a imitazione delle altre potenze europee dell’epoca, in cui l’Italia si cimentò con spavalda sicurezza e mezzi inadeguati, naufragato lentamente e indecorosamente.
L’argomento è caro a Lucarelli, che lo ha già trattato, nel suo precedente, corposo romanzo “L’ottava vibrazione”, di cui questo racconto raccoglie e rimescola alcuni elementi.

Siamo nel 1899, la storia si svolge tra Massaua e Asmara, i personaggi si muovono come sospesi in un’ atmosfera lenta, dilatata, ora sfiniti dalla canicola di Massaua, ora storditi dall’ubriacatura dell’ aria rarefatta dell’ altipiano di Asmara, dove sorge, opulento ed esagerato, lo sfavillante “Albergo Italia”, deputato a celebrare la grandezza italica nella colonia.
Politici, imprenditori, dame dell’alta società, soggiornano nel lussuoso hotel, che però ospita anche oscuri e ambigui figuri, come il faccendiere Antonio Farandola, trovato impiccato nella sua camera proprio a poche ore dall’ inaugurazione della sfarzosa struttura.
Subito, sul posto, accorrono il capitano Colaprico, al comando della Compagnia Carabinieri reali, appena insediatasi ad Asmara e il suo assistente locale, il carabiniere eritreo (zaptiè) Ogbà.
Colaprico, trasferito in Africa dalla Sicilia dopo una frettolosa e sospetta promozione proprio nel bel mezzo delle sue indagini sulla morte del marchese Notarbartolo che “…avevano coinvolto questa cosa chiamata maffia”, conosce bene gli intrighi e non si lascia persuadere nemmeno per un istante da questo curioso suicidio.
Ogbà, avvezzo a destreggiarsi con furbizia e sensibilità tra i “t’lian”, i “so tutto io”( cullu ba’llè), riesce ad entrare nell’ indagine, contribuendo a risolvere il caso con rapidità e acume, ritagliandosi nel romanzo un ruolo determinante.
Strana coppia di investigatori Colaprico e Ogbà, che in un crescendo di intuizioni e colpi di scena risolverà il caso, che sembra lambire persino alcune alte cariche del Regno d’Italia (boh, cronache di un tempo che torna!).

A dire il vero i primi capitoli mi sono sembrati abbastanza pesanti (per essere un romanzo breve). Non riuscivo ad entrare nella storia e l’uso massiccio di termini in tigrino, la lingua eritrea parlata nella colonia, benché conferisse alle pagine un sapore esotico, rendeva faticoso seguire la vicenda.
I pensieri dei personaggi che popolano la colonia (indigeni, ma anche italiani), sono inframmezzati da termini in questa lingua e da espressioni rese in vari dialetti italiani, probabilmente affinché riusciamo a calarci nello spirito che animava questo microcosmo sperduto in terra d’Africa, dove lingue e dialetti si confondevano in un carnevale di personaggi e situazioni.

Andando avanti le pagine mi sono apparse più lievi e la storia più coinvolgente ( o forse ho solo memorizzato le parole più usate!).
Mi è piaciuto il modo in cui l’autore ha scelto di caratterizzare i personaggi del romanzo: il fascino lontano e selvaggio del fiero popolo eritreo, la prosopopea degli italiani, dominatori per caso e per poco, ma anche la sgualcita presenza dei semplici soldati della colonia, in un paese inospitale e remoto .
Tra tutti mi hanno colpito ualla, la ragazza indigena “monella più che prostituta” che vive con leggerezza anche le situazioni più al limite e il capofuriere Russo, con il suo strascicato accento partenopeo e la tranquilla, incosciente naturalezza con cui affronta anche le situazioni più rischiose e sfuggenti. Mi sono sembrate le due facce di una stessa medaglia, i due aspetti di un saper vivere alla giornata, scanzonato e leggero, adatto a tutte le latitudini ( indicativo il verbale della deposizione di Russo in merito all’ omicidio)!
Margherita, la sensuale e misteriosa avventuriera di cui Colaprico s’invaghisce, porta con sé l’alone di una femminilità antica, trascorsa, perduta, con il suo profumo d’acqua di rose, il suo fruscio di sete, la pelle diafana. Forse è un personaggio un po’ stereotipato, ma comunque intrigante.
Bella l’immagine di Debaroà, la terra che Ogbà ha dovuto abbandonare perché infruttuosa e che ne attrae intensamente i pensieri non appena vi fa ritorno (“…guardava la discesa che scivolava giù irsuta e dura come la schiena di un animale, i cespugli radi come ciuffi di pelo, i sassi bianchi come ossa, fino alla spianata in fondo, con l’albero avvinghiato al terreno, le radici piantate nella polvere come le dita di una mano aperta”).

Al di là dell’epilogo giallo (forse non è la trama più riuscita di Lucarelli), la conclusione, in cui lasciamo l’immagine del capitano Colaprico dissolversi in una scena seppiata, sfumata e sospesa, mi è sembrata poetica e suggestiva, proprio adatta al resto della storia.
Sul profilo facebook dell’autore, c’è una magnifica immagine d’epoca della rada di Massaua, dove mi è piaciuto immaginare il capitano Colaprico che osserva, immoto, il piroscafo che si allontana, portando via per sempre la bella Margherita.

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Commenti

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Ciao Domitilla,
io l'ho letto da un po' di tempo e ho anche scritto il commento (positivo, quindi dopo il giudizio di Cristina ho esitato a pubblicarlo... attendevo un'altra opinione...)
Anche a me è piaciuto il riferimento storico e, pensa un po', le citazioni in lingua mi hanno incuriosito.
Tu ne consigli la lettura... però, voi donne come siete severe nei voti! :-)
Ciao
proverei a leggerlo perchè mi attira lo sfondo storico e dei luoghi, anche se il giudizio freddino mi spaventa un po'....
@Bruno: pubblica il tuo commento, vorrei leggere anche il tuo punto di vista :-))
Bravissima Domitilla. Le tue recensioni sono sempre molto interessanti ed equilibrate nelle valutazioni.
Qui l'ambientazione storica e culturale e' allettante, pero' non mi fido della penna di Lucarelli , data una precedente esperienza di lettura di un libro che veniva considerato fra i suoi migliori. Mi e' parso un autore decisamente sovrastimato.:-)
Devo dire che fino a metà romanzo arrancavo e quando ho letto la recensione di Cristina mi ci sono ritrovata in pieno, tanto da rinunciare a recensire il libro. Poi è accaduto che più che la storia, mi hanno conquistato i personaggi e ho terminato la lettura molto rapidamente. A libro chiuso le sensazioni provate erano piacevoli e la storia accendeva curiosità e interessi sul periodo storico trattato. Mi sono così persa tra immagini, testimonianze, racconti sulla lontana realtà coloniale carichi di suggestioni e… tutto si è rimescolato: il libro ha smesso di avere confini!
Comunque la valutazione non mi sembrava così negativa, la scelta di inserire tante espressioni in lingua locale, che pur interessanti, secondo me appesantivano la narrazione, ha pesato sul voto finale.
Bene, ora basta! Pubblica la tua recensione!
@ Silvia. E' comunque un libricino smilzo, che si legge davvero in fretta. Dopo i primi capitoli diventa più coinvolgente. Aspettiamo il tuo commento!
@ Emilio. Grazie! Soprattutto per aver avuto la pazienza di leggere il mio commento lunghissimo (forse più del libro!). Mi spiace, non me ne ero resa conto!
Vedo che Lucarelli in effetti non è molto amato dagli utenti del sito, forse è considerato un autore troppo commerciale. Magari non è bravo a scrivere gialli come a spiegare quelli veri (ahimè) che districa in tv, ma l'ambientazione di questo libro a me è piaciuta molto e la ricostruzione storica credo sia molto attenta.
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