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La fiaba nera
Succede così almeno una volta alla settimana. Entro in libreria e comincio a girare leggendo titoli a casaccio. Mi fermo davanti ad uno scaffale e sfilo con gli occhi i titoli. Ne prendo uno a caso, leggo la terza o la quarta di copertina, la sinossi, ma spesso non tutta, e poi scorro la prima pagina sperando di leggere qualcosa di nuovo, intrigante. Spesso, molto spesso questo tipo di pesca non porta a nulla, e allora esco dalla libreria con una sensazione di vuoto. Capita soprattutto quando non riesco a rilassarmi, e a concentrarmi. E si perché varcare la soglia di una libreria sarebbe come entrare in un’altra dimensione, nella quale riesco a vagare per ore alla caccia del mio nuovo libro da leggere. E’ così che ho scoperto il libro di Bonazzi senza sapere nulla, di lui e del libro. Mi ha colpito la prima pagina, e così ho deciso di andare avanti e l’ho comprato. Il libro mantiene la promessa della prima pagina. Scorre velocemente e ti trasporta in un incubo senza fine. Il punto di vista del romanzo è quello di un bambino di dieci anni. Odori, rumori, visioni, sono tutti resi vividi e reali. Anche il tempo, il lento passare del tempo, che si dilata e si contrae in un altalena di situazioni angoscianti, si materializza nelle pagine del libro, come un nemico, un invincibile nemico. E poi c’è una costante che permea il romanzo dall'inizio alla fine, che avvolge l’esistenza di ciascuno dei personaggi, senza esclusione di alcuno: la solitudine, fredda, tagliente, impermeabile. Un romanzo cupo, senza riscatto, un pugno allo stomaco. Una fiaba nera che sei contento di aver letto, solo perché hai avuto si paura, ma per fortuna è tutto inventato.
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Io faccio qualcosa di analogo: provo leggere una pagina di autori, come Moccia, che non mi interessano; solo per rendermi conto '... a che punto è la notte ' .