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Nino e Minica
Alcune pagine di questa storia hanno il profumo genuino delle gioie semplici e l'effetto riposante che comunica la vicinanza delle anime pure, altre il sapore del sangue.
Il linguaggio è schietto, la trama dolceamara: in qualche modo tutto sembra volgere sempre al bene, anche se non vengono risparmiati i particolari raccapriccianti di un omicidio e di uno stupro.
Protagonista è il casellante Nino, che insieme alla moglie Minica abita nei pressi di Vigata, tra mare e campagna, in una casa con annesso orticello.
Lo scorrere del tempo è scandito dal passaggio dei treni a carbone, che se la prendono comoda.
Qualche volta non arrivano a causa del bombardamento di un tratto della linea ferrata (siamo nel periodo bellico), ma più spesso ritardano per l'attraversamento di un gregge, o per il contrattempo di un passeggero.
Sì, perché il treno, già lento di suo, ha la particolarità di aspettare i ritardatari, e pochi tra i passeggeri, che sono sempre gli stessi, hanno qualcosa da ridire.
Vari personaggi popolano il romanzo: la “mammana”, esperta di parti, aborti e quant'altro, il capomafia don Simone rispettato da tutti (non si muove foglia che lui non voglia), il fascista piantagrane e il barbiere, depositario dei segreti del paese.
Quella della coppia è una vita serena, allietata ulteriormente dalla notizia dell'arrivo di un figlio atteso da tempo (le pagine dove un'esperta di erbe visita e cura Nino dalla sterilità sono abbastanza spassose).
Di indole pacifica e incapace di fare del male Nino non si aspetta certo di riceverne, ma la sua mano non tremerà di fronte al suo dovere di uomo: uccidere per fare giustizia...
Il colpo arriva dopo una disavventura che prepara il terreno alla tragedia e il dolore è troppo forte per la sua Minica, che perde il figlio che aspettava e non può più averne.
Sopravvive, ma pare uscita di senno: “Voglio fare frutti”.
Istintivamente cerca il contatto con la terra, scava una buca e ci resta dentro giorno e notte: non c'è verso di farla uscire, vuole diventare un albero e Nino finisce per assecondarla.
Camilleri si sofferma sulle incombenze quotidiane del protagonista, cariche di tenerezza, forza e dedizione, necessarie per andare avanti e non soccombere alla sventura:
“A mezzojorno e mezza priparava il mangiare, pasta per lui e dù ova per lei, poi lavava i piatti. La sira inveci cociva 'na ministrina di virdura per lei...”.
E poi il latte caldo di capra che cerca con pazienza di far bere alla moglie, dopo essersi rassegnato ad “annaffiarla” con un secchio d'acqua.
Qualcosa incredibilmente succede, una metamorfosi sembra già in atto nei piedi di Minica, come se la terra volesse accoglierla, lei però non se ne accorge:
“'Nutili”, sentenzia alla fine, e la sua è una richiesta di morte.
Ma il destino ha altri piani, e saranno i violenti bombardamenti degli alleati a portare inaspettatamente nuova vita.
Le tenebre si diradano con l'immagine di una maternità che possiede la sacralità delle cose arrivate dal cielo:
“Nella grutta, col bianco della marna, pariva che si era fatto jorno”.
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Commenti
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Quando tratti autori che ami, si avverte e riesci a creare dei commenti perfetti....piccoli capolavori....totalmente in simbiosi con lo scrittore. Complimenti Cristina....sono una tua grande ammiratrice :)
@Gracy e @Marcy mi lasciate senza parole! La stima è abbondantemente ricambiata ;-)
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