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NON SONO I VECCHIETTI DEL BAR LUME, TUTTAVIA...
Quando compare un nuovo volume di Malvaldi in libreria è un po' come quando si incontra un caro amico che non si vede da tempo. Da nessuno dei due si pretendono eroismi o azioni memorabili, ma solo di passare uno scampolo di tempo assieme in modo sereno e gradevole. Entrambi, cioè, nel loro piccolo, dànno quel utile contributo che rende la vita più dolce.
Anche con questa nuova fatica l'autore dimostra tutte le sue qualità. Innanzi tutto conferma l’ineccepibile padronanza nell'uso della lingua italiana che riesce ad utilizzare in modo brioso e fantasioso per il godimento puro del lettore. E di ciò lo stesso Malvaldi è chiaramente consapevole, visto che, proprio in "Argento vivo", non lesina punzecchiature a quei sedicenti scrittori che, invece, l'uso corretto dell'italiano non sanno neppure dove stia di casa. Poi, la storia che ci racconta è brillante e non banale; né mancano spunti decisamente comici o, comunque, assai divertenti.
Ciò precisato, da fan sfegatato dei vecchietti del Bar Lume, debbo osservare che "Argento vivo" non è il romanzo migliore di Malvaldi e la narrazione talvolta ha un andamento un po' altalenante.
Come in una intricata commedia degli equivoci, le vicende dei vari personaggi si incrociano, interagiscono e si incastrano l’una nell’altra in maniera apparentemente casuale se non quasi caotica, ma, siccome tutto alla fine deve condurre all’inevitabile happy end, talora l’impalco narrativo appare lievemente forzato. I personaggi sono decisamente gradevoli, ma il lettore, soprattutto nelle prime pagine, fatica a seguire il filo del racconto e può rimanere un po' sconcertato dai repentini salti.
In passato l’autore aveva teorizzato il principio in base al quale, per tener desta la concentrazione dell’ascoltatore, è necessario procedere ad improvvise digressioni ultronee; chi ne vuol sapere di più si legga le prime pagine di “Milioni di milioni”: il pezzo merita di per se stesso. In questo romanzo, tuttavia, almeno un paio di guizzi di goliardia toscana potevano essere evitati, perché rischiano di avere l’effetto opposto: disorientare il lettore.
Ma, con tutto ciò, si tratta di peccati venialissimi: il tempo passato a leggere le pagine di “Argento vivo” scorre rapido e gradevole e, come i vecchi amici, il libro non delude le aspettative.
L’unico vero rimpianto è non potersi imbattere nuovamente nel “barrista” e nei suoi ottuagenari avventori. Mi rendo conto che a Pineta non si può ammazzare un disgraziato ogni anno, giusto per far contenti i lettori, e che, in ogni caso, ad ottanta e passa anni le speranze di vita sono piuttosto esili, ma mi permetto di formulare il desiderio che, in futuro, con lo scatenato quintetto, si possa condividere almeno qualche altra avventura che non siano solo le brevi parentesi nelle antologie stagionali della Sellerio. A questo proposito, segnalo che è appena uscito “Regalo di Natale” con un raccontino sugli inevitabili Viviani e C…