Dettagli Recensione
Nei panni di un bandito
“Per interposta persona – Il ritorno del Passatore”, edito da Italic, narra le rocambolesche vicende di un giovane romagnolo che, a causa di una perfetta omonimia con il bandito ottocentesco Stefano Pelloni (citato anche da Pascoli in “Romagna”, che l’autore ha omaggiato all’inizio del libro), con il tempo finisce per credersi la sua reincarnazione e avvia una carriera di ladro scaltro e vendicativo, prendendosi con la forza quelle soddisfazioni che la vita gli ha negato.
A mettergli i bastoni fra le ruote, un uomo non meno intelligente di lui: l’ispettore Randello, convinto della colpevolezza di Pelloni fin dal principio della sua carriera di ladro, gli starà sempre addosso per approfittare della prima sbavatura nei suoi piani e sbatterlo in galera.
Questo nuovo Passatore, pur con le sue ingegnose parentesi criminali, conserva in realtà un’ingenuità che fa quasi tenerezza. Abituato a vivere in estrema povertà, cresciuto senza davvero conoscere gli affetti familiari, ha un rapporto sbagliato sia con il denaro che con il suo prossimo, gentil sesso in testa.
La maschera del Passatore gli offre inaspettatamente un modo per rapportarsi con il mondo da vincitore, invece che da vinto. Gli dà il coraggio di tentare bizzarre avventure amorose, lo spinge alla rivalsa verso coloro che ostentano il proprio denaro. Lo fa sentire potente, imprendibile, finalmente in grado di confrontarsi con il mondo da una posizione di superiorità. L’anonimato del lavoro al bar gli torna utile e si prende le sue soddisfazioni materiali con una certa parsimonia, tutto sommato.
La fame di sfide, però, lo porta a rischiare sempre di più e sempre più spesso, pur sapendo di avere un mastino alle calcagna (e in questo il ladro si eleva nel rispettare profondamente il proprio avversario “dalla parte della legge”). Forse c’è un inconscio desiderio di essere fermato, tanto da sbandierare il proprio soprannome agli ultimi rapinati, come lasciando un biglietto da visita ad uso e consumo dell’ispettore Randello. Una personalità vera e vivace, profondamente italiana.
Venturini trova nella scrittura in prima persona una forma narrativa che gli è congeniale e che valorizza la territorialità della parlata, pur senza volute insistenze sul gergo dialettale e con la premura di fornire spiegazioni dei termini locali quando utilizzati. Il tutto, però, inserito con eleganza nella narrazione stessa, senza note a piè di pagina.
Molti dei difetti presenti ne “Il ritorno degli Dei” qui scompaiono del tutto, palesando una maturazione dello scrittore e una pregevole attenzione dell’editore per il prodotto. A una trama valida e interessante, infatti, Venturini aggiunge una prosa senza difetti sintattici o refusi di stampa, permettendo finalmente una lettura scorrevole che consente al lettore di godersi senza ostacoli le trovate dell’autore e le vicissitudini di questo particolare protagonista.
Dalla prosa di Venturini emerge un amore tutto italiano per il cibo. Pur senza diventare parossistico, il piacere della buona tavola traspare dalle righe – mai mancanti – che descrivono i pasti dei personaggi, un soffermarsi che con poche parole sa risvegliare il senso del gusto e renderci partecipi di questa esaltazione per il gusto e la vista.
Altra trovata interessante, la sfilata di personaggi che frequentano il bar di Pelloni e che costituiscono uno sfaccettato spaccato di umanità nostrana. Dal professore di fisica al venditore di gioielli, dall’impiegato di banca al beghino affetto da cleptomania, dalla ragazza con mire di convivenza alla donna volgare e subdola che tenta ogni uomo che entra nel locale. Ognuno di loro ha qualcosa da dire, il proprio contributo da dare. Spesso il giovane criminale parla citando i propri clienti, che hanno sempre qualcosa da insegnargli, qualche perla di saggezza o sapienza con cui arricchire la propria cultura.
Una lettura davvero piacevole, una bella conferma del talento di Massimiliano Venturini.
Indicazioni utili
Commenti
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |
Ordina
|
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |