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Il primo di una nuova serie
Si vede che cominciava a diventare imbarazzante scrivere solo del commissario Ricciardi e in verità non mi sento di dar torto al bravo de Giovanni: cristallizzarsi in una produzione con sempre lo stesso protagonista a lungo andare non solo rende difficile inventare nuovi episodi validi, ma anche il lettore, pure il più affezionato, tende piano piano a disamorarsi. L’autore napoletano, per variare, aveva due possibilità: scrivere romanzi del tutto autonomi l’uno dall’altro, come hanno fatto Andrea Camilleri e Georges Simenon, oppure dare vita a un nuovo personaggio protagonista di una serie del tutto diversa. Nel primo caso ci sarebbe stato il rischio di produrre opere di scarso interesse, ma personalmente credo che non sarebbe stato il caso di de Giovanni; nella seconda ipotesi il pericolo è rappresentato dal continuare a perpetuare, pur in forme diverse, la felice intuizione nata con il commissario Ricciardi.
La scelta è caduta su una nuova serie di episodi, in cui il dominus è un ispettore di polizia, di nome Lojacono, un personaggio assai diverso da Ricciardi, inserito pure in un contesto differente e in altra epoca (l’attuale), ferma restando la città (Napoli).
Devo dire che, almeno da questo primo romanzo, il tentativo appare apprezzabile, per quanto il risultato, nel complesso, sia a mio avviso non del tutto soddisfacente.
Maurizio de Giovanni si è sforzato di estraniarsi da quei personaggi che tanto gli hanno portato fortuna, ha pure tentato di cambiare lo stile, eppure si ritrovano certe caratteristiche dei romanzi con Ricciardi.
Per esempio, gli intermezzi, in cui dei protagonisti vengono portate le riflessioni, sono presenti anche qui, con una differenza: sembrano delle forzature, in contrasto con il ritmo dell’opera, peraltro altalenante, e comunque ben più veloce degli episodi con l’enigmatico commissario.
Inoltre, la trama gialla vera e propria, che prima faceva da sfondo a ogni opera, qui assume una maggiore importanza, ma se in precedenza la sua esilità veniva oscurata dalla bellezza dei rapporti interpersonali, ora purtroppo si dimostra fragile nel tentativo di darle un rilievo più importante.
In passato ho perdonato certi periodi in cui venivano espressi retoricamente i sentimenti, anche perché l’epoca (il famoso ventennio) era caratterizzato da questo modo di esprimersi, che ora invece, in un secolo in cui tanto si corre per mai arrivare, appaiono decisamente fuori tempo.
Nonostante queste stonature e pur in presenza di una certa artificiosità che tanto richiama i numerosi polizieschi che affollano le programmazioni televisive, Il metodo del coccodrillo è un romanzo che si lascia leggere, che può anche divertire, ma, almeno in questo primo episodio, resta un puro e semplice giallo, dalla trama nemmeno tanto originale, anche se ciò non toglie che possa costituire motivo per trascorrere piacevolmente alcune ore senza porsi tanti problemi.
Quanto sopra per concludere che del libro la lettura è consigliabile, ma i romanzi con il commissario Ricciardi sono tutta un’altra cosa, anche per qualità.