Dettagli Recensione
A sangue caldo
Rimango sempre senza parole di fronte ad omicidi inspiegabili, spesso compiuti all’interno delle mura domestiche, o comunque in ambienti apparentemente tranquilli, familiari.
Le persone vicine all’omicida sono quasi sempre testimoni inconsapevoli dell’odio che monta e assistono impotenti alla rabbia cieca e assassina quando esplode, oppure, e questo avviene molto più spesso, rimangono increduli quando apprendono chi ha ucciso.
Mi colpisce, quindi, non tanto l’efferatezza del gesto, quanto l’incapacità di capire perché è stato compiuto, cosa è scattato per determinare la furia omicida e soprattutto se c’erano elementi chiari (ma mi sarei anche accontentato di segnali deboli) per prevenirlo.
Perché ogni volta è sempre la stessa storia, l’omicidio di Sara Scazzi, Erica ed Omar, il delitto di Cogne, fino ad arrivare al giovane Pietro Maso, riempiono le cronache dove si tenta di spiegare la reale dinamica dell’omicidio, chi ha collaborato e chi sapeva, si azzarda un perché. Difficile trovare, invece, chi ci spieghi come mai nessuno tra parenti, amici, conoscenti, avesse non dico capito, ma almeno intuito.
Per questo ho letto “L’inferno avrà i tuoi occhi”, per cercare soprattutto di capire come è stato possibile che tre ragazze la sera del 6 giugno 2000 hanno barbaramente ucciso Suor Maria Laura Mainetti, per offrirla in sacrificio a Satana, come avrebbero poi dichiarato agli increduli inquirenti, senza che nessuno avesse minimamente intuito cosa stessero premeditando tre adolescenti, residenti a Chiavenna, un tranquillissimo paesino di montagna, con l’unica pecca apparente di non amare lo studio e di preferire passare i pomeriggi in giro o al bar a chiacchierare.
Il libro tenta di spiegare, e in questo mi ha soddisfatto, percorrendo tre linee temporali diverse. Una è quasi una cronaca che descrive la profonda (e insana) amicizia tra le tre ragazze e il precipitare degli eventi, un’ altra racconta il sofferto ritorno a casa di una di loro dopo alcuni anni per fare da testimone di nozze ad una cugina, e l’ultima, a mio avviso la più interessante e riuscita, riguarda proprio l’autrice quasi coetanea delle tre e abitante nello stesso paese, che riflette sul legame stretto e possiamo proprio dire mortale tra Chiavenna e i suoi luoghi, l’età delle ragazze, la loro amicizia e quanto poi avvenuto.
Bell’esordio quindi per Silvia Montemurro, che grazie ad un racconto genuino, profondamente sentito, a tratti quasi intimo, ma comunque sempre lucido, supera le acerbità dello scrittore al suo esordio e prova a spiegare, riuscendoci, e a rievocare, certamente per trasporto e intensità, Truman Capote e il suo “A sangue freddo”.