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Una lettura sempre assai piacevole
E con questo sono sei i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, una serie fortunata che ha dato una giusta notorietà all’autore. I motivi di questo successo stanno tutti nei personaggi che compaiono regolarmente in ogni episodio: il commissario Ricciardi, un uomo affascinante e misterioso, che annida nel suo intimo un dolore profondo che lo porta a una malinconica solitudine esistenziale; la sua tata Rosa, che lo accudisce ed è di fatto una seconda madre, malata e avanti con gli anni, con l’intenso desiderio di vedere accasato e finalmente sereno quell’uomo di cui intuisce, senza saperne le ragioni, l’intima sofferenza; la dirimpettaia Enrica, perdutamente innamorata dal bel commissario, che la ama senza riuscire a dimostrarglielo; il brigadiere Maione, l’aiutante fidato, uomo aitante, pratico e dal cuore d’oro, che trova la sua pace fra le braccia della moglie Lucia e i figlioletti che animano la sua dimora; il dottor Modo, medico legale, nonché medico dell’ospedale, in cui cura con dedizione e generosità gli ammalati, notoriamente antifascista e un po’ anarchico; la cantante d’opera Livia, bellissima donna, in vista nell’alta società romana, corteggiata da tanti uomini, ma che ha occhi per uno solo, per lui, per Ricciardi; il travestito Bambinella, confidente di Maione, di cui è innamorato e non contraccambiato; il vicequestore Garzo, carrierista, individuo viscido, l’unico elemento negativo dei protagonisti fissi.
Se non bastasse già la notevole empatia che si instaura fra il lettore e questi personaggi, c’è l’ambientazione di rara efficacia, con una città, Napoli, in cui tanti vivono e lottano per sopravvivere, e infine non bisogna dimenticare l’atmosfera: siamo nella seconda metà del ventennio e si respira un’aria greve, un nauseante lezzo di marciume di un regime che ha iniziato la china discendente e che per proprio per questo compie ogni nefandezza, usando sempre più il bastone per prolungare la sua agonia.
E la trama gialla? Sempre presente, è pur tuttavia relegata allo sfondo del palcoscenico in cui si muovono i personaggi che prima ho elencato. Non manca la tensione, ma non è questa lo scopo di ogni romanzo, è come se de Giovanni ricorresse agli omicidi e alla ricerca dei colpevoli solo per narrarci delle sue creature, delle loro giornate, delle loro illusioni, delle loro delusioni.
E così è anche per Vipera, dove l’omicidio nella sua alcova di Maria Rosaria Cennamo, detta Vipera, la più bella prostituta non solo del bordello Paradiso, ma di tutta Napoli, e le conseguenti indagini sono un pretesto per mostrarci l’evoluzione dei rapporti fra Ricciardi ed Enrica, per aggiornarci su Maione e famiglia, per far rinascere, nonostante un rifiuto scostante, la passione di Livia per il commissario. A ciò si aggiunge, e questo è stato un colpo di genio, la disavventura del dottor Modo che, a forza di manifestarsi antifascista, finisce con l’entrare nel mirino della polizia segreta di regime. Ma non voglio dire altro, per non scoprire la trama e in questa sede mi preme solo rilevare come più passa il tempo, dopo ben sei romanzi la gradevolezza della lettura rimanga inalterata. Almeno nel mio caso mi sono interessato soprattutto all’’evolversi delle vicende dei protagonisti, relegando la ricerca del colpevole a un accessorio, che è ben costruito, ma è pur sempre non determinante nel giudizio. Maurizio de Giovanni sa bene interpretare le miserie umane, non si erge a giudice, ma ha un dono non comune: la pietà, pietà per le vittime e per i colpevoli, pietà per una città e la sua gente che vivono alla giornata, pietà per chi non la chiede, ma con il suo comportamento se la merita, pietà per chi ama senza essere riamato.
Vipera è un romanzo che merita indubbiamente di essere letto, uno di quei libri da tenere sul comodino accanto al letto o fra le mani mentre si prende il sole in spiaggia, un compagno fedele con cui trascorrere ore di intenso meritato piacere.