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Riabilitarsi, anche se si è innocenti
Fine della seconda guerra mondiale, è tempo di liberazione e, purtroppo, anche di punizioni talvolta ingiuste.
Adelmo Baudino è in “elenco degli elementi colpiti da epurazione dal Comitato di Liberazione Nazionale”.
Un atto iniquo (“… meriti fascisti … non li ho mai avuti, anche se me li hanno appiccicati addosso”), che ha colpito il protagonista facendogli perdere il posto di ispettore della polizia ferroviaria: “Sai bene che hanno epurato solo i piccoli e che i grandi papaveri sono rimasti al loro posto; se la lavi con la lisciva giusta anche la camicia nera diventa bianca, anzi bianco fiore”.
Misteriosi delitti catturano l’attenzione dell’ex ispettore: “Hanno fatto fuori due colleghi nel giro di poche ore … speravo che non fosse lui il morto, perché se il Monticone che conoscevo io fosse stato vivo avrebbe potuto parlare dello sciopero del ’20 a quelli dell’Epurazione”
“Non solo la morte di Monticone e Pepe erano legate, ma fanno parte di una serie lunga chissà quanto”.
Parte così un’indagine privata, perché “quelli della questura avevano già archiviato l’affare: ucciso per rapina …” e Adelmo ha l’intento di “riconquistarsi la dignità che gli avevano strappato”.
L’amico Berto (“Una cena e una bevuta offerta in amicizia non avevano mai offeso nessuno …”), figlio di notaio, lo incita ad andare a fondo.
“Italia 3 marzo 1944 la mia vendetta per te” è la scritta che si ritrova in prossimità degli omicidi.
Adelmo intraprende un viaggio a Napoli e nei suoi incredibili sotterranei (“l’antico acquedotto romano …. Trasformato in un enorme rifugio antiaereo”), in Lucania e … nei ricordi. Viene sfiorato dal sospetto che sotto gli omicidi vi sia un affare internazionale che coinvolge gli americani. Intanto Adelmo combatte la depressione di chi ha “ha perduto una fidanzata, una guerra, un lavoro, un amico e quell’unica guerra che aveva vinto, quella da partigiano, l’aveva combattuta per un’Italia che non c’era più”. Poi s’imbatte nella strage di Balvano: un tragico incidente in galleria ove molti passeggeri del treno 8017 hanno perduto la vita anche a causa di briganti e contrabbandieri.
Sullo sfondo la Torino delle osterie (“Torino ormai ne era piena di quelle osterie dove tenori e tenorini andavano a esibirsi per il solo gusto di farlo, sognando il palcoscenico della Scala”), la Torino postbellica (“una tettoia devastata, i segni dlele bombe”; “La fine della guerra aveva portato via un sacco di cose brutte, non solo le bombe, i tedeschi … ma anche la paura di uscire, di divertirsi…”) e industriale (“I profili delle ciminiere della Grandi Motori”); la Torino che ospita “l’orrore e la pietà, la deformità dei corpi e la perfezione della carità. Si chiamava … Il Cottolengo …”
Il romanzo può essere collocato nel genere storico-noir, è costruito con equilibrio e malinconia, in modo uniforme e fedele nella ricostruzione romanzata dell’immediato dopoguerra.
Bruno Elpis
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