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Caccia al tesoro in corso di guerra
Questo romanzo è l’ideale continuazione del precedente Nero di maggio.
Infatti il teatro di scena è lo stesso (Firenze) e ritroviamo due personaggi di particolare spessore (il capitano dei Reali Carabinieri Bruno Arcieri, ora dei Servizi Segreti e aggregato agli alleati, e la sua fidanzata Elena Contini, ebrea nascosta per sfuggire alle deportazioni).
Cambia, tuttavia l’epoca: ora siamo nell’agosto del 1944 durante la battaglia per la liberazione di Firenze.
In Gori apprezzo molto la capacità di descrivere ambienti e situazioni con immediatezza, al punto che si ha l’impressione di assistere a una successione di immagini in movimento, proprio come in una pellicola cinematografica.
Avevo rilevato questa dote già in occasione della lettura di Nero di maggio, romanzo che mi ha notevolmente impressionato. Ebbene, ne Il passaggio, questa capacità si è ulteriormente evoluta, direi perfezionata e sembra proprio di vedere una città storica in pieno scontro bellico, direi che si avverte l’atmosfera tipica di morte e di paura in una serie di quadri di grande impatto emotivo.
La trama è imperniata intorno alla ricerca di un autentico tesoro, quel dipinto della battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci perso irrimediabilmente per la fretta di asciugare i colori. Sono in tanti e per diversi motivi impegnati in questa caccia, ricca di colpi di scena e di non pochi morti ammazzati, in una tensione che non viene mai meno dalla prima all’ultima pagina.
Certo che è naturale chiedersi come sia possibile sperare di trovare un dipinto su muro ormai irrimediabilmente perso, ma c’è una risposta logica e inconfutabile, pure nell’ambito della fantasia creativa dell’autore. Al riguardo non intendo rivelare nulla, perché mi sembra giusto che la ricerca in cui viene di fatto coinvolto anche il lettore non gli pregiudichi il piacere di esserne partecipe.
C’è un altro elemento, peraltro innovativo, rappresentato alla fine di ogni capitolo dalle riflessioni di un giovane fascista, un irretito da Pavolini, che dai tetti, in una sorta di delirio mistico e politico, spara agli alleati, ai partigiani e anche a ignoti cittadini. La sua lucida follia si inserisce come un tassello determinante nel mosaico degli eventi che riguardano la città e anche la caccia di cui ho detto.
In quella sorta di soliloquio si ritrovano tutte le caratteristiche di un regime irreale, retorico e sfrenato, in netto contrasto con le speranze di una nuova epoca, rappresentata dall’avvento degli alleati e dei partigiani. Eppure anche questo cecchino non è lì per caso e nell’epilogo dell’intricata vicenda sarà determinante.
Trecentoquarantasei pagine non sono poche, ma assicuro che si leggono quasi d’un fiato, a dimostrazione della valenza di questo romanzo, per certi versi migliore del già eccellente Nero di maggio.