Dettagli Recensione
Marco Vichi: “Morte a Firenze”
Come giudicare un romanzo di trecentocinquanta pagine, sottotitolato ‘Un indagine del commissario Bordelli’, in cui la storia gialla – e/o noir – ne occupa circa un terzo? Male, almeno dal punto di vista investigativo – abbandonato per lunghi tratti - con l’aggravante di uno scioglimento dell’intreccio largamente prevedibile. Così, si finisce per preferire la digressione, sia essa un breve lampo di memoria – l’esperienza partigiana o della guerra in generale – un capitolo a se stante – il contatto con la natura nei boschi di collina – oppure un breve romanzo nel romanzo – l’alluvione fiorentina del ‘66. Forse le pagine migliori sono proprio quelle riguardanti le faticose camminate del commissario tabagista sui sentieri dimenticati; percorsi che attraversano una montagna che si presenta come ultimo rifugio mentre la città avanza impietosamente. La figura di Bordelli è quella classica del poliziotto disilluso, con l’unica variante della vicinanza alla pensione: incapace di combattere i propri vizi – ma quanto mangiano e quanto bevono i tutori dell’ordine cartacei degli ultimi anni? – ma idealista e testardo ad ogni costo. Attorno a lui, vivono alcune figure di contorno ben caratterizzate e, nelle pagine centrali, il coro greco della città travolta dalle acque dell’Arno: poco plausibili invece la bellissima Eleonora e la sua storia d’amore con il commissario, altro punto debole del romanzo. Che, per quanto ben scritto, ha un po’ smorzato, pagina dopo pagina, la curiosità e l’interesse con cui l’ho aperto: forse, se non fosse ambientato nella città del padre Dante, il giudizio sarebbe ancor più negativo.