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Ancor più bello del primo
"La primavera arrivò a Napoli il quattordici aprile millenovecentotrentuno, poco dopo le due del mattino.
Arrivò in ritardo e come al solito, con un colpo di vento nuovo dal sud, dopo un acquazzone."
Dopo l’inverno del Senso del dolore arriva per il commissario Ricciardi la primavera de La condanna del sangue, una stagione di risvegli, di nuovi amori che sbocciano, ma anche di delitti, fra i quali quello, particolarmente efferato, che vede come vittima una cartomante e usuraia.
Come per il precedente la vicenda gialla, pur se apprezzabile, costituisce solo l’ossatura intorno alla quale è costruito il romanzo vero e proprio e qui de Giovanni mostra l’indubbia capacità di non ripetersi, creando nuovi personaggi di contorno e colorando più intensamente, scendendo ancor di più dentro l’anima, quelli che già si conoscono: il tormentato e malinconico commissario Ricciardi, il pratico, ma umano, brigadiere Maione, il Dr. Modo, medico legale pragmatico e antifascista, e lei, Enrica, la dirimpettaia, un amore silenzioso e mai dichiarato.
Il romanzo procede a ritmo costante con lo svolgimento razionale della trama principale, accompagnata da altre solo in apparenza minori e che si ricollegano come in un mosaico a dar vita all’immagine di un’umanità dolente, in cui la passione, la gelosia, i sentimenti e perfino il delitto sono l’espressione di un’esistenza in cui la felicità è solo una chimera.
Così accanto al feroce delitto della cartomante ci sono le vicende di Filomena, la più bella di Napoli, e perciò desiderata dagli uomini e odiata dalle donne, oppure quella di un sogno infranto di un povero pizzaiolo che si era illuso di poter guadagnare di più.
Su tutte, però, domina il sempre presente senso del dolore di Ricciardi, quell’intima pietà che in un mondo di fame e di morte riesce ad aver ragione del più gretto materialismo, conferendo dignità non solo alle vittime, ma anche ai colpevoli.
In questo contesto di grande effetto, dove l’ambientazione e l’atmosfera sono resi in modo veramente pregevole, di tanto in tanto c’è lo spazio anche per osservazioni illuminanti, come questa:
L’usura è vile, pensava Ricciardi: tra i delitti più tristi, perché prende la fiducia e la rivolta contro chi la dà. E succhia lavoro, speranze, aspettative, succhia via il futuro.
Non mancano, inoltre, tutte le menzogne di un regime (il romanzo è ambientato in epoca fascista) dove tutto deve essere bello e ordinato, dove la gente deve essere ricca, parole vuote che stridono con l’opprimente realtà.
Scritto in punta di piedi, con un lessico semplice, ma assai efficace, La condanna del sangue mi ha avvinto già dall’inizio e, quando alla fine Ricciardi scorge nuovamente attraverso i vetri della finestra la dirimpettaia che ricama pensando a lui, mi sono messo a piangere, perché quel ritrovato timido silenzioso amore è la conclusione logica di un romanzo stupendo, che è maturato dentro di me pagina dopo pagina, mettendo radici profonde.
E poi mi vengono le lacrime solo quando arrivo all’ultima pagina di un capolavoro.