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La metamorfosi contro la violenza degli uomini
Come scrive Salvatore Silvano Nigro, «Camilleri è il cronista, il favolista e il mitografo della comunità vigatese». Ed è appunto, una favola quella che l’incredibile e infaticabile macchina narrativa dello scrittore siciliano ci ha regalato quest’estate.
Il casellante racconta la storia - ambientata nel 1942, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale - di Nino Zarcuto, trentenne dalla mano sinistra offesa per un incidente sul lavoro. L’uomo alterna la custodia e la manutenzione di uno tre caselli della linea Vigata-Sicudiana con l’attività di concertista presso un salone di barbiere. Il tutto sempre di comune accordo con sua moglie Minica, che dopo molti tentativi, anche grazie ai consigli e alle pratiche di una mammana, Nino riesce a mettere incinta.
La gravidanza tanto attesa e una vincita al lotto fanno pensare che la vita dei due sia baciata dalla fortuna. Invece, le cose prendono una svolta decisamente drammatica.
Racconto dalla piega favolistica, dicevo, come ormai Camilleri è solito fare nelle storie che non fanno parte del ciclo Montalbano. Una favola questo Casellante, dove lo scrittore siciliano con grande abilità riunisce un sistema di personaggi, di cui accentua i connotati grotteschi.
Si pensi alla coppia apparentemente sterile che si rivolge a medici e praticone per risolvere il proprio problema. O all’uomo forte del regime sempre attento a cogliere eventuali vilipendi alla sacralità dei rituali fascisti. O al padrino che risolve ogni cosa e che costituisce la vera autorità del paese. Per non parlare degli aneddoti che caratterizzano il primo capitolo, dove da par suo, Camilleri racconta come si siano succeduti i vari custodi del casello.
Una piccola umanità che spesso si trova in balia di eventi più grandi di lei, tanto da dover a volte rinunciare alla propria umanità.
È quello che capita appunto, a Minica. Qui lo scrittore di Porto Empedocle innesta nel racconto quel tema della metamorfosi, da lui già trattato in Maruzza Musumeci, lì la trasformazione di una donna in sirena, in questo libro, invece, in un arbolo.
Minica, dopo la terribile violenza di cui è vittima, non può più procreare. Per questo nella sua mente si innesca un meccanismo che la porta a volersi trasformare in una pianta così da stabilire un rapporto simbiotico con la natura, e tornare a far parte del ciclo vitale. La sua è una sorta di muta resistenza alla violenza della società degli uomini.
Una resistenza muta e folle che solo il marito può comprendere e assecondare perché mosso dall’amore: la cura come una pianta, concimandola, potandola, innestandola. Tenacia che darà alla fine i suoi risultati, con la creazione di una nuova Sacra Famiglia.
Uno dei migliori Camilleri degli ultimi tempi.