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Operazione Blueprint
 
Operazione Blueprint 2011-12-15 05:52:41 Renzo Montagnoli
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
5.0
Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    15 Dicembre, 2011
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Alta tensione

La spy story, o letteratura di spionaggio, è un genere che si è imposto rapidamente, perché sovente riesce a combinare più elementi di contatto con il giallo, con il noir, con la fantapolitica e, soprattutto, con l’azione, quest’ultima intesa come una serie di avvenimenti ad alta tensione che riescono a velocizzare la trama, avvincendo ulteriormente il lettore.
Gli autori più apprezzati in questo campo sono per lo più di lingua inglese, come John Le Carré, Tom Clancy, Ian Fleming, Ken Follett, Robert Harris, solo per citare i più noti. Mi sono meravigliato, quindi, nel leggere sulla copertina di Operazione Blueprint un nome tipicamente italico, come Antonio Di Carlo, e, se devo essere sincero, mi sono accinto a esaminare l’opera con una certa perplessità, con il timore comunque di potermi trovare di fronte a una vicenda un po’ abbozzata, con i limiti tipici di alcuni dei meno riusciti western all’italiana, giusto per fare un paragone e per meglio esprimere così i miei dubbi.
Il libro si apre con un incontro fra due uomini nell’ancora staliniana Mosca, uno dei quali è addidittura il potentissimo Laurentij Beria, incontro che serve a definire un mostruoso piano chiamato operazione Omega volto a destabilizzare una volta per tutte l’Occidente a tutto vantaggio dell’Unione Sovietica. In buona sostanza si tratta di inserire nelle fondamenta di edifici nella fase di costruzione del potentissimo esplosivo da far deflagrare poi, a tempo debito, con un impulso radio. Non si tratta di fabbricati qualunque, ma di sedi d’ambasciate, di grossi organismi internazionali, di strutture petrolifere e di impianti di produzione di energia nucleare.
Poi il piano temporale si sposta molto in là negli anni e arriviamo alla perestroika, con il comunismo caduto come un frutto marcio, sostituito da un’ancora incerta e debole democrazia, facilmente preda di eventuali e non improbabili colpi di stato, sia provocati dai nazionalisti più accesi, sia dai nostalgici del passato regime.
E’ in questo delicato periodo che si attiva il piano concepito molti anni prima e che inizia una vera e propria caccia all’uomo responsabile dell’esecuzione del progetto, da parte sia dei servizi segreti americani che di quelli russi, peraltro d’intesa fra loro e che attribuiranno alla loro missione il nome di Operazione Blueprint.
Sebbene alcuni aspetti dell’idea mi ricordino Telefon, il bel film di Don Spiegel con un eccellente Charles Bronson, Operazione Blueprint può vantare una propria autonomia di svolgimento che presenta non poche originalità, come, per esempio, l’incidentale scoperta del diabolico piano e spunti di fatti accaduti veramente, i quali, per fantasia, si piegano all’esigenze del romanzo, dandone un’interpretazione in linea con la trama.
E a proposito di quest’ultima si rileva un susseguirsi continuo di colpi di scena, beninteso legati fra loro, secondo un filo logico su cui corre senza intoppi la narrazione, con una tensione costante e che a volte arriva anche al parossismo.
Una cosa è certa: se si comincia a leggerlo, non si riesce a smettere, si vorrebbe divorare le pagine per arrivare all’auspicata soluzione finale, con l’immancabile trionfo dei buoni.
Pertanto, se la giornata è piovosa e costringe a restare in casa, se in televisione non c’è la partita, se insomma non volete stare a sonnecchiare, quello è il momento buono per aprire il libro e di colpo il tempo volerà e voi con lui.
Inoltre, il romanzo presenta un’altra interessante caratteristica, vale a dire che, pur lasciando spazio alla fantasia del lettore, questi viene immesso in precise linee guida tali da consentirgli di scorrere le righe e contemporaneamente vedere le immagini di quel che accade, tanto è notevole l’immediatezza.
Peraltro, in presenza di tanti pregi è presente un neo, anche se non rilevante, e mi riferisco allo scarso spessore dei protagonisti, di cui conosciamo più le azioni che la loro intima struttura. Ecco, sono dell’avviso che Di Carlo, se riuscirà a ovviare a questo inconveniente, potrà raggiungere la fama di quegli autori che ho citato prima.
Comunque, la lettura resta godibilissima e quindi è più che consigliata.

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19 Dicembre, 2011
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Sono, per quel che vale, sostanzialmente d'accordo. Mi trova spiazzato quell' "addirittura" riferito a Beria visto che si descrive l'incontro di costui "nientemeno" che con il Piccolo Padre, Stalin!! A parte questo la critica sullo scarso spessore dei personaggi è corretta. Devo dire che solo Le Carré e Deighton sono insuperabili nel dare ritratti profondi. Ma di autori così non ne nascono tutti i giorni. Di Carlo con un'opera, per quel che ne so, prima ha prodotto un romanzo più che dignitoso.
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