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Viva la libertà
Ha quasi il ritmo di una ballata questo romanzo tutto centrato sulla figura di Sante Pollastro, per le cronache un bandito di Novi che ha imperversato, soprattutto fra le due guerre, ma per la realtà storica un ribelle.
Luigi Balocchi con uno stile del tutto particolare, che ricorre con misura al dialetto, con frasi brevi, incalzanti, riesce a fornirci un quadro completo di questa meteora dei diseredati.
Sì, perché le gesta di quest’uomo, indubbiamente contro la legge, sono animate da uno spirito di rivolta contro un sistema che opprime l’individuo, negandogli quella libertà che è suo diritto di nascita.
Sante Pollastro, il bel Santéin è anarchico senza saperlo, lo è per un istinto naturale che lo porta quasi in un gioco-sfida con se stesso a violare leggi che sembrano fatte apposta per consentire il predominio di alcuni uomini sugli altri.
Ha simpatie per il movimento anarchico, perché lo considera la testimonianza che il suo modo di condurre la vita ha un fondamento che non lo rende dissimile da altri che si battono e muoiono per un’ideale di libertà prima di tutto individuale.
Nel testo lo si definisce uno stirneriano naturale, ma lui di Max Stirner forse ha solo udito il nome, perché la base culturale per comprendere l’anarchismo non è presente. Lui è così, perché è nato così, in ciò confermando praticamente la teoria del filosofo tedesco.
Anche gli uomini della sua banda, pur riconoscendolo capo, appaiono come dei discepoli, soggiogati dalla sua forte personalità, ma con l’analoga predisposizione a rifiutare vincoli imposti dalle istituzioni, apparati creati per limitare la libertà degli uomini.
E’ tutta una serie di avventure picaresche che si susseguono nelle pagine, con l’immagine memorabile del bel Santéin che corre a perdifiato in bicicletta e spara con mira infallibile ai lampioni, con gli assalti ai treni, con le rapine, ma anche con le feste fra amici, con gli amori rapidi e intensi, con parte dei bottini destinati a chi più ne ha bisogno.
Si delinea così la figura di un uomo a metà fra Robin Hood e Don Chisciotte, una miscela amalgamata in modo perfetto, che ne fa un personaggio a se stante, un mito anche per le polizie italiane e francesi che lo rincorrono, un avversario pericoloso, ma leale.
Un concetto di vita inteso come avventura permanente, dove forte e predominante è il vincolo dell’amicizia, dove bravate e allegria si alternano anche alla tristezza per la morte di un compagno.
Così, se esilarante appare il bel Santéin tutto nudo d’inverno quando si presenta per il servizio di leva, in modo da farsi passare per matto ed evitare quindi la certa destinazione per la fornace di morte del Carso (siamo durante la prima guerra mondiale), i ricordi del fido Emilio, ucciso dai Regi Carabinieri in un agguato in cui lui è scampato per miracolo, danno la misura di un uomo complesso, dotato di grande temerarietà, di slanci impetuosi, ma anche di malinconica nostalgia.
In un ambiente descritto in modo magistrale, con nebbie che sembrano avvolgerti, con il freddo di cui hai il sentore, Il diavolo custode è assai di più di un romanzo noir, di una riuscita biografia, è un intenso, vibrante, e per certi versi struggente, canto di libertà.