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Appunti per un ritorno alla forma migliore
A mio avviso Giorgio Faletti ha uno stile di scrittura eccezionale. Elegante, accattivante, molto suadente.
Dopo la personale folgorazione per l'opera di esordio "Io uccido", che mi vanto di aver acquistato e letto ben prima che scoppiasse la febbre mediatica del passa parola, ho accolto le opere a seguire spesso con perplessita' e un po' di delusione. In tutte rimaneva lo stile, ma a non andare proprio, del tutto o in parte - a mio giudizio - era la storia.
In quest'ultima opera Faletti tralascia - per fortuna - ogni trovata fantastica o giochetto ad incastro, ogni ambientazione straniera (basta metropoli newyorkese, basta l'esotica terra dei Sioux, per carita'!) per nulla congeniali o credibili addosso ad un autore italiano, per ambientare (benissimo) un thriller teso e piuttosto avvincente nella Milano drammatica degli anni di piombo.
E se forse alla fine l'autore ha la tendenza a spiegare sempre troppo la soluzione (mai come in Io sono Dio, viva Iddio!!!) o a creare a tutti costi un effetto a sorpresa di troppo, in fondo si tratta pur sempre, in questo caso, di peccati veniali che non pregiudicano gravemente il complesso dell'opera.
Certo, ripetere l'esito quasi pefetto di Io uccido e' dura, ma e' il prezzo che si paga dopo un esordio cosi' travolgente.
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