Dettagli Recensione
Top 500 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
La caccia al tesoro di Andrea Camilleri
Il sedicesimo libro della serie con Montalbano ha un incipit diverso: il commissario non ha passato una nottata fitusa, non s’arroviglia tra le lenzuola, ma più avanti si legge: “e fu accussì che inveci d’essiri, come al solito, arrisbigliato dalla prima luci del jorno, fu lui a vidiri il jorno che s’arrisbigliava”. Sembra di entrare subito nell’atto criminoso, ma poi Camilleri ci svia, ci addentra in un commissariato sonnolento, intorpidito, senza fatti violenti o cruenti sia pure di scarsa entità, Montalbano che non sa come passare il tempo tra un libro di Simenon, una Domenica del Corriere del 1920 e l’osservazione entomologa del percorso di una mosca intorno alla scrivania.
Montalbano primo che interloquisce con Montalbano secondo sulla vecchiaglia, riflessioni sul suo modus operandi più cauteloso: si rimprovera e poi si assolve.
Catarella con le sue proverbiali storpiature lessicali, sciddricate della mano sulla porta e divagazioni con rebus e cruciverba allenta la tensione che tra le pagine s’insinua. La sempiterna e slapita Livia distante anni luce, solo telefonicamente rivendica ancora un minimo di attenzione da parte di Salvo. Fazio, Mimì Augello, Gallo, Galluzzo, la svedese Ingrid cristallizzati nei loro ruoli, ci accompagnano in questa nuova e più noir storia: due vecchi fanatici religiosi, due bambole gonfiabili, lettere anonime che in giochi enigmistici invitano il commissario ad una strana e poco credibile caccia al tesoro, la scomparsa di una giovane e bella ragazza e un giovane aspirante epistemologo, tutto questi elementi sparsi e apparentemente slegati tra loro trovano la giusta collocazione. Montalbano rimette a posto con la sottile arguzia che lo contraddistingue tutti i pezzi del puzzle, quando un lapsus e due omissioni gli illuminano la mente e la risoluzione del caso prende forma anche senza uno straccio di prova, ma “la mancanza di prove non è prova della mancanza”, (Rumsfield). Da “L’età del dubbio” e “La danza del gabbiano” il commissario di Vigàta, 57 enne, s’interroga, si analizza sempre più nel profondo: sì, ripete i suoi rituali legati alla cucina, la buona cucina di Adelina o di Enzo, la passiata al molo, fino sutta al faro, l’assittatina supra allo scoglio con relativa sicaretta, le parole che lo fanno arraggiari, il guasto della natura, della politica, dell’animo umano che lo feriscono, l’offendono, ma ad una certa età s’addiventa insofferenti su tutto. Conferme per lui che sta diventando vecchio. Una forma di spleen cova nel suo cuore e squieta la mente, la solitudine che prima era quasi uno status naturale ora l’avverte con più sofferta sensibilità. Camilleri attinge a piene mani alla sua fantasia, ma anche alle sue eccellenti letture, echi e riferimenti letterari, come il nome della via Brancati al Don Giovanni in Sicilia, bambole gonfiabili comprate all’estero, espressione di un erotismo stravagante e alla moda e altro. La caccia al tesoro è un’altra gemma letteraria di Camilleri che ci emoziona fino all’ultima riga. Come il personaggio Arturo Pennisi, il picciotto ventino, preciso intifico a un Harry Potter, è interessato al funzionamento del cervello di Montalbano quando conduce un’indagine, così noi lettori siamo incuriositi e affascinati della mirabolante struttura linguistica di Camilleri e degli architettonici ed ingegnosi intrecci narrativi delle sue opere. E come se Camilleri sfidando se stesso in un gioco di specchi lanciasse una sfida anche ai suoi lettori facendoli giostrare a più livelli mentali e ingannandoli- da ottimo giallista- per gran parte del testo.