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La zia di Lampedusa
 
La zia di Lampedusa 2010-05-14 16:30:04 La zia di Lampedusa
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La zia di Lampedusa Opinione inserita da La zia di Lampedusa    14 Mag, 2010
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La zia di Lampedusa
Recensione a cura del prof. Andrea Sanfilippo

Apprezzare un libro non significa soltanto gustarne l’intreccio, le ambientazioni e lo stile narrativo. Non significa nemmeno riuscire ad immedesimarsi nei personaggi che lo compongono. Il libro è un oggetto concluso in sé, dove ogni particolare concorre alla sua coesione e riuscita. Pertanto oltre al testo, che racchiude tutti gli elementi che ho già elencato, è necessario prendere in considerazione il paratesto, cioè quel complesso di caratteristiche, che ha come confini copertina e risvolti e che si svolge lungo dediche, prefazioni, postfazioni e citazioni. L’oggetto libro è insomma un universo coerente, nel quale tutto è necessario per orientarsi, per percorrerne le diverse e potenzialmente infinite direzioni. E La zia di Lampedusa, in tal senso, non fa eccezione: si apre con una riflessione metaletteraria dell’autrice in cui si scandagliano le diverse opzioni del genere giallistico e programmaticamente si stabiliscono le linee guida fra le possibili varianti.
Elvira Siringo sceglie un giallo che lei stessa definisce “perbene”, epurato cioè da tutti quei particolari macabri e da tutte quelle lusinghe autoptiche che spesso sospingono il romanzo di investigazione, tutto ragionamento e intreccio da compiersi anche in veste da camera, verso lo splatter, dove camici chirurgici indagano ferite, e non moventi, fra rivoli di sangue e resti umani. D’altra parte anche Alessandro Manzoni aveva scelto di eliminare dal suo romanzo d’amore tutto ciò che potesse turbare le coscienze dei lettori.
Si passa poi alla citazione in esergo che è tratta da Il pescatore di Fabrizio De Andrè, che, per chi conosce il brano del cantautore genovese, rievoca sì avventure lontane ma anche immagini evangeliche per chi, forte della sua esperienza di vita, non giudica e protegge anche il peccatore, l’assassino, offrendogli in segno di perdono i simboli eucaristici del pane e del vino. E la compartecipazione di prosa e versi di canzone, come in una Fabula Milesia, non si esaurisce qui. Ogni capitolo è infatti un piccolo enigma citazionale, i cui titoli rimandano ad altrettante celebri canzoni. Il lettore, da cinegeta, da investigatore, è chiamato in causa per capire in che modo si instauri questo rapporto di connivenza e qualora non riuscisse a coglierne tutte le sfumature, ecco che in finale di capitolo viene riportato il testo chiarificatore a ricondurre il tutto all’ordine, al senso che la scrittrice voleva imprimere. Non manca inoltre quella sicilitudine, quel fatalismo, che Sciascia aveva considerato una condanna per la Sicilia e che qui invece si tramuta in promessa per il domani, in atteggiamento progressista e futuribile. E se la Sicilia è, come diceva Goethe, l’Italia all’ennesima potenza, Lampedusa, dove appunto si svolge il romanzo, isola di una isola, è l’immagine più profonda del profondo Sud: là dove il degrado, l’arretratezza si trasfonde in mito. Elvira Siringo sostituisce le nebbie delle ambientazioni noir care a Scerbanenco, con gli assolati scenari mediterranei di Camilleri, dove tutto è impastato e paralizzato dall’acqua salmastra e da un sole inclemente. Un mare che trasporta anche e disperazione e un bagliore algido e accecante che preannuncia morte. E di matrice camilleriana sono alcuni particolari minimi: alcuni toponimi, Marina di Vigata ad esempio, l’attenzione per la cucina e quella capacità di promuovere una regione che rischia di mantenere il fascino sfuggente di un’Isola non trovata.
In tutto questo non manca l’attenzione nei confronti della più cogente attualità. Ed ecco che il Mediterraneo, mitico crocevia di incontri, viene piombato nella sua realtà fatta di sbarchi clandestini e di cimiteri sommersi. L’autrice però rifugge da una visione pessimistica e immutabile e attraverso l’immagine di un puer virgiliano, di un nascituro destinato a cambiare le sorti del mondo, apre il testo e il lettore ad una futura palingenesi: non una profezia superstiziosa, ma la consapevolezza che, come sostiene Habermas, ogni nuova vita è di per sé un fatto rivoluzionario.
Dall’omicidio iniziale, una nascita promessa riconsegna il semplice giallo, che in sé trova le proprie giustificazioni e si esaurisce, al mito, alla ciclicità dei destini e delle metamorfosi dell’uomo, dove dal cadavere di Narciso sorge sempre un fiore.
Prof. Andrea Sanfilippo
Per informazioni www.laziadilampedusa.it
Per acquistare il romanzo: laziadilampedusa@alice.it

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