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Il rovescio delle fiabe
Ma davvero siamo convinti che le fiabe siano racconti gratificanti per bambini, dove bellissime principesse incontrano sempre il loro fascinoso principe Azzurro e dove tutti, proprio tutti, alla fine, vivono felici e contenti?
Ormai siamo avvezzi alla versione disneyana delle fiabe (mi raccomando “fiabe”, da non confondere con le “favole” morali di Esopo e Fedro), ma Cenerentola non era solo quella povera, sventurata ragazzina che veniva bullizzata dalle sorellastre a cui normalmente pensiamo; Raperonzolo (o Petrosinella, come la chiama Basile) non era una nobile principessa rapita da una perfida strega per sordidi motivi e il suo amore per l’impavido principe era tutt’altro che platonico; Cappuccetto rosso, forse, non riusciva a spuntar fuori viva dalla pancia del lupo e non è escluso che il bel principe che svegliò la Bella Addormentata nel bosco prima, quand'era incosciente, l’avesse stuprata e, poi, dopo, si fosse reso colpevole di bigamia.
In sostanza i finali di queste storie, nelle loro versioni originarie, erano molto meno mielosi, romantici e sdolcinati di quanto supponiamo e di quanto ci hanno insegnato i lungometraggi a cartoni animati americani.
Riesaminando i testi scritti da Giovan Battista Basile (Il cunto de li cunti), Charles Perrault (I racconti di mamma oca) e dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm (Fiabe), l’A. ci fa riscoprire il vero senso, cruento e terrifico, di questi racconti fantastici, tipici della cultura europea; in Oriente le storie avevano un contenuto e un andamento del tutto diverso.
Le fiabe si sono state trasmesse prima attraverso la tradizione orale, che era ancor più truculenta di quanto non lo siano stati, poi, i racconti su carta. In seguito quelle storie il cui originario scopo era quello di intrattenere gli adulti attorno al focolare, mentre si terminavano gli ultimi lavori della giornata agricola, divennero oggetto di trasposizione letteraria a opera di quei famosi favolisti, a motivo di sollazzo per le corti nobiliari europee o, infine (nei Grimm), quale tentativo di conservare delle tradizioni popolari etniche. Ma nei vari passaggi molto della tematica e dello spirito iniziali s’è perso o è mutato in qualcos’altro.
Questo libro godibilissimo ci mostra il vero lato oscuro delle fiabe più tradizionali. Sebbene abbia la veste grafica di una lussuosa graphic novel, con copertina in splendida quadricromia e pagine labbrate in oro, in realtà è una accurata analisi filologia, storica, etnica, semantica e psicologica delle storie che ci sono state narrate quand’eravamo bambini. E le scoperte a cui ci conduce sono davvero sconvolgenti anche per chi abbia memoria di alcune delle fiabe dei Grimm nel testo classico.
Dal riesame critico dei testi originali dei Grimm, di Perrault e di Basile apprendiamo che Cenerentola (o Zenzola per Basile) in effetti era una bambina subdola che s’era macchiata pure d’omicidio e, alla fine, viene premiata (ingiustamente?) mentre le due sorellastre subiscono (in alcune versioni) una crudele punizione; che la vendetta di Biancaneve sulla strega cattiva è atroce come lo erano le più terribili torture medievali; che Barbablù era sì uno schifoso femminicida (come si direbbe ora), ma che in fondo, le sue vittime se l’erano pure andata a cercare. In ogni caso in giro per il mondo delle fiabe c’erano molti altri personaggi (e non solo gli orchi) che facevano a gara con lui per crudeltà efferata e brutale malizia, amputando braccia alle sorelle o smembrando donne innocenti per mera gelosia. La malvagità e il sesso sfrenato, poi, non mancavano mai in quel loro mondo incantato.
Il libro analizza gli scopi e il senso vero delle fiabe, partendo dalle labili tracce lasciate dalla tradizione orale dei narratori (anche della Cina, lontana da noi nel tempo, nello spazio e nelle tradizioni) per giungere sino alla edulcorazione finale impressa dalla tradizione Disney.
Se le fiabe evolvettero sino a diventare un cupo, cruento monito per le giovani generazioni, con esempi orrorifici e cruente punizioni che dissuadevano dal deviare dalle regole morali usualmente accettate, non è affatto detto che la loro morale fosse impeccabile.
Per quanto riguarda l’insegnamento che sarebbe dovuto promanare da esse, infatti, oggi noi avremmo più di una obiezione da sollevare sulla morale delle fiabe di Basile e Perrault,. Anzi in alcuni casi il precetto che viene fornito ci lascia perplessi se non del tutto sgomenti per l’etica che vorrebbe imporre.
Questa analisi attenta, curata e documentata è contrabbandata dall’A. e illustratrice in modo scaltro con tavole disegnate con un tratto delizioso e aggraziato, con scenette lievemente caricaturali esplicitate da fumetti con battute di salace umorismo, di satira intelligente e con divertenti, ma glaciali battute, che trasformano quello che, in diversa veste, potrebbe essere definito un tedioso trattato di saggistica letteraria, in un godibilissimo libro da leggere e guardare con piacere e interesse.
Unica obiezione, forse, è sulle conclusioni finali che prende. In esse si pretenderebbe di stigmatizzare, con puritano dogmatismo moderno, quelle novelle osservandole da una prospettiva che oggi si definisce “woke” e che vorrebbe farci sentire colpevoli per le ingiustizie, il razzismo, le disuguaglianze di genere, economiche e sociali che in esse si evidenziano. Tuttavia non dobbiamo mai dimenticare in quali tempi venivano raccontate quelle storie: nel XVII secolo (quando scrivevano Basile e Perrault) alle donne era riservato un mondo ben distinto da quello degli uomini e non necessariamente più disprezzabile, anche se il massimo obiettivo finale a cui potevano ambire era il bel matrimonio con un ricco giovane.
Gli omosessuali e quelli che, genericamente, vengono oggi definiti “queer”, rientravano nella categoria dei fornicatori, puniti dalla legge degli uomini e da quella divina. I mori, per l’immaginario dell’epoca, erano le popolazioni mussulmane con le quali lo scontro era continuo senza esclusione di colpi da nessuna delle due parti. Quindi prima di giudicare con la morale odierna, è necessario ripensare al contesto storico in cui le fiabe furono scritte.
Salvo questa precisazione, ho trovato il libro molto interessante e di piacevole e istruttiva lettura. Ovviamente, però, è sconsigliabile alle giovani generazioni come, del resto, le vignette della seconda pagina esplicitamente avvertono, ma per un lettore adulto e preparato può essere fonte di sorprese e interessanti insegnamenti. Da leggere con attenta visione disincantata. Tra l’altro stimola la curiosità: sulla scia di quanto appreso, io sono stato spinto a prendere in mano “Il cunto de li cunti” di Basile per rileggere nella versione prima le storie, ad esempio, della “Gatta Cenerentola” o di “Petrosinella”.