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Il peso della consapevolezza
Piccola premessa: avevo scritto di getto una splendida e accorata recensione che, causa telefonata di lavoro, ho inavvertitamente chiuso. Quindi, questa non è che una sentita (ma pallida) imitazione dell'originale che avevo scritto con enfasi e slancio. Spero apprezziate l'immenso sforzo mnemonico!
Con questa graphic novel, Saviano sferra al lettore un pugno nello stomaco o un calcio in petto, scegliete pure l'espressione che renda meglio l'idea.
Nel raccontare i suoi ultimi quindici anni di vita, infatti, il giornalista si mette a nudo, accantonando il "personaggio pubblico" che nel frattempo è diventato.
Niente, inutile girarci intorno, quello che emerge leggendo quest'opera è che la vita sotto scorta fa schifo. Può aver fatto tutti i soldi del mondo, come dice la pletora dei suoi haters, può avere tutto il successo possibile ed immaginabile con le donne, fatto sta che non può godersi nulla della sua vita, perché costretto a vivere nell'ombra, perché non può decidere di fare nulla di improvvisato, perché non può scegliere di uscire per una passeggiata o fermarsi a bere una cosa in un bar senza mobilitare la sua scorta.
Questa la pura e brutale verità cui ci mette di fronte Saviano: non uccidendolo, la camorra lo ha condannato a questa vita nel limbo, che oltretutto lo espone a migliaia di detrattori che passano il tempo ad insultarlo sui social e che magari, se subito dopo l'uscita di Gomorra fosse morto, probabilmente lo avrebbero celebrato ogni anno come avviene per (purtroppo) molti altri, come ad esempio Giancarlo Siani.
Generalmente, pensando a Saviano ci si sofferma a pensare solo sull'effetto dirompente che ebbe Gomorra, sull'enorme successo internazionale, sulla pioggia di arresti e di condanne che ne seguirono, dunque sulle conseguenze pubbliche della sua scelta, senza però riflettere sulle conseguenze che tutto ciò ha avuto sull'uomo, o meglio, sul ragazzo che Saviano era all'epoca della pubblicazione.
Questa graphic novel serve proprio a questo.
Voltata l'ultima pagina, dunque, resta un senso di profonda tristezza, oltre che la volontà di riflettere non tanto sulle proprie scelte, ma sulle conseguenze delle stesse.
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