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La bussola d'oro. Queste oscure materie
 
La bussola d'oro. Queste oscure materie 2024-10-14 14:54:38 FrancoAntonio
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4.3
Stile 
 
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4.0
FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    14 Ottobre, 2024
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Lyra, i Daimon e l’onnipresente Polvere

Lyra Belacqua è una undicenne orfana dei genitori (o, almeno, così le hanno sempre fatto credere) che è stata allevata amorevolmente al Jordan College di Oxford dagli Accademici e dalla servitù dell’augusto Ateneo. È cresciuta un po’ selvaggia e irrequieta e ora, con un comportamento da vero maschiaccio, è capo d’una banda di ragazzini che imperversa nella cittadina tra battaglie con i coetanei e scorribande sui tetti e nei sotterranei del College. Ma il mondo in cui lei vive non si trova nel nostro universo, ma in uno parallelo, davvero strano. Qui l’Inghilterra è separata dall’Oceano Germanico dalla New France (gli USA?), i crudeli Tartari minacciano i confini orientali dell’Europa e il popolo nomade dei Gyziani ha colonizzato i fiumi e i canali del mondo. Ma, soprattutto, ciò che distingue il mondo di Lyra dal nostro, sono i daimon. Ogni essere umano, sin dalla nascita, è accompagnato da un animale nel quale si incarna la sua anima, con cui si confronta e discute. Fino al raggiungimento della pubertà questi compagni di vita sono mutevoli nell’aspetto, com’è mutevole il carattere dei bambini, poi si stabilizzano in una forma definitiva che conserveranno sino alla morte dell’umano con cui sono accoppiati e che coincide pure con la loro sparizione. La simbiosi umani-daimon è così profonda e sinergica che se, per inconcepibile disgrazia, dovessero essere separati gli uni dagli altri per più di una distanza limite, si determinerebbe la morte di entrambi o quantomeno, un trauma psicologico tale da ledere gravemente il loro equilibrio mentale facendone delle specie di zombie. Un essere umano senza il suo daimon, per quella società, è concepibile come lo sarebbe un essere vivente che vive e cammina senza testa: un abominio.
Però c’è qualcuno che forse sta pensando proprio di operare questa separazione: molti bambini cominciano, misteriosamente, a scomparire, catturati da coloro che la voce popolare ha definito gli Ingoiatori, termine che, da solo, fa intendere le non certo benevole intenzioni di questi individui.
Ma Lyra e il suo daimon, Pantalaimon, non si interessano a tutto ciò: lei è concentrata sui giochi coi coetanei ed è affascinata dalle ricerche che suo zio Lord Asriel sta facendo nell’estremo Nord sulla Polvere – sostanza eterea e visibile solo con appositi strumenti “filosofici”, ma che pare ammanti in abbondanza tutti gli esseri umani tranne i bambini – e su una misteriosa città aerea che appare e scompare, evanescente, nelle aurore boreali.
La sua vita, tuttavia, subirà una drammatica svolta. Affidata dal Maestro del Jordan alla misteriosa, ma affascinante, signora Coulter, conoscerà un mondo nuovo a volte seducente, ma, più spesso, pericolosissimo. Farà scoperte sconvolgenti sulla propria vita che la lasceranno frastornata; si unirà ai Gyziani per andare alla ricerca dei bambini scomparsi. Dovrà lottare più e più volte per la vita propria e delle persone che le sono care, ma soprattutto si troverà ad affrontare a una serie di sfide e missioni che, alla fine, potrebbero influire in maniera drammatica e definitiva sulla stessa trama del mondo come lo ha sempre conosciuto lei.

La Bussola d’oro è il primo romanzo di una trilogia intitolata “Quelle oscure materie” nella quale l’A. in un’atmosfera dai toni steam-punk, affronta molteplici temi inquietanti e discutibili oltre che effettivamente discussi nelle critiche successive all’uscita dell’opera.
La lettura di questo primo libro mi ha lasciato piuttosto perplesso per la sua intrinseca ambivalenza e ambiguità.
Ha la tipica impostazione che ormai è diventata un classico di questo genere letterario: abbiamo un giovanissimo eroe, dotato di volontà e capacità uniche, che lotta strenuamente contro il mondo degli adulti che minacciano di distruggere tutto. La magia e le arti esoteriche aiutano e influiscono pesantemente sul succedersi degli eventi. Animali parlanti (orsi guerrieri corazzati!) e, più genericamente, creature fantastiche e misteriose svolgono ruoli non secondari nelle vicende. L’ambientazione, poi, è in un universo immaginario o, quantomeno, distopico non troppo dissimile dal nostro, ma nel contempo inquietante.
Tuttavia, nonostante queste struttura e ambientazione fantasy, i contenuti effettivi del romanzo ne sono solo marginalmente influenzati, perché appare evidente che il bersaglio dell’A. sia il nostro mondo, al quale, entro la metafora narrata, porta un attacco diretto.
Proprio per i temi trattati non può essere considerato un romanzo rivolto a un pubblico giovanile o adolescenziale. Molti, troppi sono i contenuti che possono essere compresi e valutati compiutamente e criticamente solo da un lettore intellettualmente e culturalmente più maturo.
Ho avuto la netta sensazione di trovarmi di fronte a una trattazione speculare, cioè uguale ma contraria, sia negli argomenti che negli intenti, rispetto alla saga de “Le cronache di Narnia”. Dove nei libri di C. S. Lewis, praticamente ogni situazione, ogni paragrafo è permeato da un afflato religioso e i precetti del cristianesimo si respirano ovunque, qui è proprio l’apparato ecclesiastico, la Chiesa, con il suo organo deliberante e decidente, il Magisterium, il nemico da battere, la cupa minaccia, la cappa plumbea calata su una società soffocata e guidata in modo tirannico che Pulman pone sul banco degli imputati e non certo in modo velato. Ogni crimine, ogni turpitudine è fatto risalire ad essa.
Non solo le attività quotidiane, ma pure tutte le ricerche che noi definiremmo “scientifiche” (e qui sono definite “filosofiche sperimentali”) sono caricate di contenuti teologici e hanno come unico scopo quello di acclarare la verità dei dogmi religiosi negando il libero pensiero. L’ortodossia ecclesiastica è così autoritaria che discostarsene può significare la condanna per eresia e, in ultima analisi, la morte.
Gli Ingoiatori, o, meglio l’Intendenza per l’Oblazione, come realmente si chiama l’organizzazione che perpetra abominevoli esperimenti sulle anime incarnate nei daimon, è approvata e sostenuta dalla Chiesa, ma commette crimini che noi assoceremmo solo ai cosiddetti scienziati nazisti di cui Josef Mengele è da ritenersi il prototipo.
Dove, a Narnia, tutti gli esseri viventi sono accumunati da una fratellanza quasi francescana, qui si assiste a una pesante segregazione razziale e classista. I nobili e gli accademici appartengono a una aristocrazia che non si mischia con il popolino o la servitù, considerati appartenenti a una classe inferiore relegata a svolgere solo i lavori manuali che gli altri disdegnano. La cesura è così netta che pure i daimon ne dànno una visibile testimonianza: i servi sono accompagnati solo da daimon in forma di obbedienti e disponibili cani, ben diversi dai felini, dai rapaci, dai minacciosi rettili o dai primati che sfoggiano le classi superiori.
I Gyziani, poi, rappresentano il popolo inferiore, il diverso; il nome stesso (evidente crasi tra gypsy, zingaro, e egyptian, da intendersi come africano non cristiano) ne fa degli emarginati, tollerati solo per le eventuali utilità che se ne possono trarre, ma, per il resto invisibili; perciò il rapimento dei loro figli per gli esperimenti è tollerabile e ignorato dalle autorità. Il nemico alle porte, poi, (i Tartari con le loro lupe-daimon) è accreditato di comportamenti barbarici, crudeli e, sostanzialmente inumani.

In questa ambientazione plumbea la trama si svolge in modo coerente con le premesse, portando con sé perennemente la sua carica d’ansia per i protagonisti, gli eroi buoni e bistrattati della vicenda, mentre per il lato oscuro di questa società c’è solo un cumularsi di crimini e crudeltà. Scene sanguinarie e violente si incontrano spesso e, in genere, la storia è cruda, non edulcorata e, non di rado, crudele. La separazione rigorosamente manichea tra gli attori del dramma aiuta sicuramente a immedesimarsi, ma, una volta di più, mostra come il pubblico a cui è destinato il libro non sia quello dei ragazzini.
I colpi di scena, i rivolgimenti di fronte sono ben calibrati e lo stile è fluido e leggibile, anche se, talvolta può risultare un po’ lento e pesante.
Per le ambientazioni, poi, l’A. ha scelto, o gli austeri ambienti di un college dall’aura vittoriana, o le gelide e buie terre dell’inverno a nord del circolo polare. Queste, contribuiscono ad aggiungere cupezza alla storia che, ovviamente, essendo questo solo il primo dei romanzi della trilogia, si interrompe senza un epilogo catartico, lasciando il lettore con il fiato sospeso su quale potranno essere i futuri sviluppi.

In definitiva il romanzo è un ibrido non perfettamente comprensibile, proprio perché collocato a cavallo di più generi ben distinti. Alle narrazioni avventurose e appassionanti che ne sono la colonna portante, fa da contraltare la critica sociale e teologica, l’allegoria crudele della nostra società.
Proprio per questo motivo il mio giudizio, per quanto positivo, resta in sospeso in attesa di scoprire come si evolverà la storia e quali saranno le conclusioni finali a cui deciderà di giungere l’Autore.

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