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Scambio di persona nella lotta tra Bene e Male
Ogni mille anni, tra il regno della Luce e quello delle Tenebre si svolge una seguitissima gara per stabilire chi, nel millennio a venire, avrà il controllo sugli Umani. Per questo volgere di tempo sono stati designati ad affrontarsi il diavolo Mefistofele e l’arcangelo Michele. Seduti a un tavolo in una Taverna del Limbo decidono i termini della gara: Mefistofele dovrà utilizzare un umano scelto da Michele e trasportarlo in varie epoche storiche per vedere se e come cercherà di mutare gli eventi storici. A decidere dei risultati finali sarà Ananke, la Necessità, che valuterà le diverse prove e i loro esiti. L’uomo scelto da Michele è il dottor Faust, rinomato mago e negromante del XVI secolo che, "attualmente", vive a Cracovia. Questi i luoghi e i tempi in cui dovrà agire: il 1290, Costantinopoli, durante la quarta crociata che portò alla distruzione della città a opera dei crociati; 1295, Pechino, poco prima del ritorno di Marco Polo a Venezia; 1492 a Firenze, per il primo “Rogo delle vanità” ispirato da Savonarola; 1590 a Londra, per il debutto della tragedia “Faust” di Marlowe; 1789 a Parigi per la fuga dei Borbone dalla rivoluzione. Sono tutte date memorabili per la storia dell’umanità e una azione accorta potrebbe mutare il corso degli eventi futuri.
Tuttavia Mefistofele – presentandosi in casa di Faust per proporgli ricchezze, longevità, sapienza e potere in cambio del suo ruolo nella gara – commette un madornale scambio di persona (forse agevolato da Michele che non sembra comportarsi in modo totalmente onesto): nell’edificio non c’è il dotto negromante, ma un ladruncolo di bassa lega che sta cercando un po’ di bottino. Cosa combinerà agli eventi storici il sempliciotto, ignorante, opportunista, maldestro Mack la Mazza? Inoltre il vero dott. Faust riuscirà a riprendersi il ruolo che gli spetterebbe?
Robert Sheckley e Roger Zelazny sono due pilastri della letteratura fantascientifica mondiale e, da una simile accoppiata, ci si aspetterebbe un romanzo di altissimo livello, visto, soprattutto, che l’intento è chiaramente quello di fare un’opera divertente, se non addirittura apertamente comica e dissacrante.
Si parte da un’idea di base sicuramente vincente (peraltro preceduta da una storia analoga, “Voglio la testa del principe azzurro”, ove si mettevano in burletta le fiabe). Gli AA. ripigliano il mito faustiano – reso immortale da leggende e numerosissime opere letterarie tra cui spiccano, ovviamente, i drammi di Marlowe e di Goethe a cui si sono pesantemente ispirati – per trarne un romanzo satirico e iconoclasta. Sono divertenti molti personaggi che scendono in campo, in particolare i diavoli, ma pure lo gnomo Rognir, in costante urto sindacale contro i primi che non lo pagano adeguatamente e lo precettano proprio quando sta andando a un importantissimo convegno, e la strega Ylith, riconvertitasi al bene che, come tutti i neofiti, è ancor più rigida e intransigente degli angeli stessi. Poiché, però, il cimento del falso Faust prevede che egli debba affrontare situazioni nodali per il corso delle vicende umane, si offre l’opportunità di sorridere pure di altri personaggi storici: il doge Enrico Dandolo; Marco Polo e Kublai Khan; Achille, Ulisse e gli altri eroi dei miti greci; Lorenzo il Magnifico, Savonarola e Pico della Mirandola e così via. Quindi occasioni per la satira irriverente ce ne sono fin troppe.
Tuttavia, a mio avviso, l’operazione non è pienamente riuscita. Lo stile è sicuramente scorrevole, ma anche sin troppo guascone; mentre la ricostruzione degli episodi storici è un po’ cialtronesca. Il comportamento di certuni personaggi più che essere ironico risulta quasi farsesco, mentre altri si comportano come cow boys in un saloon (Marco Polo che addobba la sala ricevimenti di Kublai di teste mozzate gocciolanti sangue? Ma per favore!). Ciò deprime il livello del romanzo che, invece di essere una parodia garbata, rischia di apparire una buffonata un po’ sguaiata. La satira, per essere godibile, dev’essere pure intelligente e ben calibrata. È apprezzabile la conoscenza approfondita della storia e dei miti europei da parte dei due autori americani, ma forse sarebbe stato più opportuno trattare i vari episodi con maggior rispetto pur nell’ambito comico/farsesco della narrazione. Invece non è raro che si abbia la sensazione di assistere ad una slapstick comedy in cui tutto può esser messo in burletta.
Da rimarcare, poi, alcuni evidenti falsi storici, non sempre funzionali alla narrazione. Tra i tanti: nell’episodio fiorentino la morte di Lorenzo, correttamente fissata nell’aprile del 1492, non poteva essere contestuale al “Rogo delle Vanità” il cui primo episodio è datato cinque anni dopo, nel febbraio del 1497. Nell’ultima prova, invece, i Borbone tentano di fuggire da Parigi già nel 1789, l’anno della presa della Bastiglia. Ma nella realtà storica la fuga verso Varennes avvenne nel 1791 e non quando i moti rivoluzionari erano appena all’inizio e Luigi XII sperava ancora di mantenere il controllo della situazione e, visto che non ci sono altri fatti collegati alla “missione” di Faust, perché anticipare il tutto di due anni?
Insomma il libro è sicuramente divertente, ma anche troppo arruffato, troppo caoticamente irriverente al punto da sfociare spesso in una americanata. Non m’è piaciuto poi il finale, con intenti vagamente pedagogici ed edificanti, assolutamente non in linea con il senso stesso delle vicende, che, in quanto ironiche, sono ciniche e impudenti.
Io ho amato moltissimo la prosa di Sheckley, il miglior scrittore di fantascienza comica, ma qui si nota un po’ di appiattimento nel suo stile, forse su temi più consoni a quelli de suo co-autore, Zelarny. Peccato, perché la trovata era davvero promettente.
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Per l’angolo del pignolo faccio rimarcare un errore che mi è risultato fastidioso. Probabilmente è stato commesso solo in sede di traduzione: Mefistofele, Azzie e gli altri rappresentanti del Regno delle Tenebre sono diavoli, cioè, demòni (plurale di demonio) e non démoni. I démoni, (dal grego daimon) sono entità sovrumane, spiriti interposti tra il mondo sensibile e quello divino, in grado di dispensare facoltà soprannaturali anche benevole, non solamente malefiche. Al contrario i demòni (dal greco daimònion), cioè i diavoli, sono deità provocatrici del male che, nella tradizione cristiana, si contrappongono alle forze del bene. Ora l’evidente errore della traduzione è sottolineato dal fatto che ogni volta che compare la parola, questa è accentata sulla terzultima sillaba, in modo sdrucciolo, quindi senza possibilità di fraintendimenti, mentre al singolare si usa il lemma démone e non demonio. Male!