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Felicemente nella minoranza
Con più di un dubbio mi sono finalmente decisa a completare la tetralogia L'Attraversaspecchi, ad un anno di distanza dalla lettura del primo volume. Purtroppo aver sentito tanti pareri negativi su "Echi in tempesta" mi spingeva a rimandarne sempre la lettura, perché personalmente avevo apprezzato molto la serie fino a quel momento e non volevo proprio vederla sciupata con una conclusione indegna. E una volta messa (virtualmente) la parola fine a questo commento penso proprio che andrò a leggermi qualche recensione dettagliata, perché non mi riesco a capire cos'abbia deluso così tanto i lettori in questo romanzo.
Come tra i primi due libri, la narrazione riprende subito dopo l'epilogo de "La memoria di Babel", con un nuovo cataclisma che sembra mettere in pericolo la stabilità delle arche, causando crolli randomici; per impedirlo, Ofelia e Thorn si infiltrano separatamente all'osservatorio delle Deviazioni, dove sperano di trovare nuove informazioni sull'Altro e Dio. Parallelamente continuiamo a seguire la piccola Vittoria, alle prese proprio con quest'ultimo, al momento impegnato in una non troppo riuscita imitazione di Renard.
Proprio questo punto di vista secondario mi da lo spunto per iniziare ad analizzare gli aspetti che ho meno apprezzato del titolo, ma comunque non così gravi da inficiare l'esperienza di lettura dell'intera serie. Le informazioni che acquisiamo attraverso il POV di Vittoria sono presentate in modo frammentario e vengono ribadite anche in altre scene, quindi non posso fare a meno di ritenere i suoi capitoli un'aggiunta quasi inutile; non che sia spiacevole da leggere, solo un po' tediosa quando altrove stanno succedendo cose ben più importanti. A livello stilistico non ho poi apprezzato la scelta di inserire interi paragrafi composti da interrogative dirette, che la cara Christelle sfrutta come escamotage per riepilogare cosa i personaggi sappiano in un dato momento; personalmente ho trovato fastidioso dover leggere queste sfilze di domande, e ritengo ci fossero modi più eleganti di ottenere il medesimo risultato.
Un altro elemento che mi ha fatto storcere il naso riguarda le molte rivelazioni che vengono fatte nel corso del volume, atte a rispondere ai misteri sorti dei capitoli precedenti. A mio avviso le conclusioni alle quali arriva Ofelia non vengono sempre giustificare in modo efficace: a seconda della situazione in cui si trova, ha delle visioni che convenientemente mostrano tutto, oppure qualche personaggio attacca uno spiegone, oppure ancora lei stessa ha un'intuizione senza alcun fondamento comprensibile. Ci tengo a precisare che questo non vale per tutti i casi, e comunque nel complesso le spiegazioni che vengono fornite a livello di world building mi sono sembrate convincenti; il problema è il modo in cui arrivano al lettore.
Il romanzo ha ovviamente altri punti a suo favore. Innanzitutto la prosa si dimostra ancora una volta molto scorrevole, seppur non manchino neanche le minuziose descrizioni dei bizzarri luoghi in cui la protagonista si ritrova. Di Ofelia ho appezzato poi come continui la sua crescita, specialmente in contrapposizione con i tanti che le vorrebbero imporre un ruolo o un pensiero diverso. Mi ha stupito anche di più leggere come Dabos abbia finalmente dato spazio ad un'analisi approfondita di Thorn, in relazione alle sue motivazioni e debolezze. Il finale lascia alcuni elementi marginali in sospeso (mi viene da pensare che l'autrice avesse in mente di pubblicare qualche racconto, magari), ma credo che quelli principali abbiano ottenuto una chiusura più che soddisfacente.