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Più valido come romanzo storico che come horror
"I dodici" è un libro che ammetto di aver recuperato unicamente per averlo trovato scontatissimo in qualche store online; come al mio solito l'ho abbandonato parecchio tempo in libreria, per poi ripescarlo in occasione di una TBR interamente a tema vampiri. Non che la narrazione sia da subito chiara in questo senso, però almeno la sinossi risulta meno misteriosa e fa capire che queste creature della notte giocano un ruolo fondamentale nella storia.
La trama si snoda nel corso della seconda metà del 1812 ed è fortemente collegata agli eventi della Campagna di Russia; a raccontarci la vicenda è un ufficiale dell'esercito russo, il capitano Aleksej "Ljoša" Ivanovi? Danilov, membro di una squadra di spie e sabotatori. La scena d'apertura vede il suo amico Dmitrij Fetjukovi? consigliare di assoldare un gruppo di mercenari -che ribattezzano Opri?niki- per rendere più efficaci i loro sforzi di indebolire la Grande Armée; mentre il nostro Aleksej impiega dozzine di pagine prima di iniziare a nutrire dei sospetti nei confronti dei suoi nuovi, sadici alleati, i lettori non faticheranno ad intuire la natura vampirica di questi sicari.
Questo è il primo, e forse il più grave, difetto del romanzo: l'intreccio è estremamente prevedibile, e questo unito ad un ritmo molto lento rende la lettura decisamente ostica, soprattutto nei primi due terzi del testo. Sempre nella prima parte della storia, il protagonista non ha una vera motivazione che lo spinga ad agire, ed è chiaro che questa fiacchezza narrativa non è spontanea ma viene imposta dall'autore, forse in un inutile tentativo di rendere profondo questo personaggio.
Ciò rende se possibile ancor più fastidioso Aleksej, che già di suo non brilla per simpatia; raramente ho dovuto seguire un POV così detestabile: Ljoša oscilla tra l'ottusità più frustante e l'incapacità di autocritica, infatti non appena arriva a sfiorare delle riflessioni decisive il suo pensiero va altrove. Alcuni dei suoi pensieri, in particolare nei confronti dell'amata Domnikiia "Dominique" Semënovna, sono offensivi senza ragione perché non portano il suo carattere ad evolvere in alcun modo.
Per nostra fortuna nel resto del cast abbiamo delle figure più simpatetiche o per lo meno affascinanti, e tra queste ammetto di aver apprezzato specialmente Maksim "Maks" Sergeevi? e Iuda; quest'ultimo ha anche il merito di aver risollevato un po' il romanzo, con le trovate che mette in campo nell'ultima parte della storia. In generale poi, il modo in cui vengono rappresentati gli Opri?niki mi è piaciuto: in un mondo editoriale ormai abituato ad una versione più moderna e romantica dei vampiri, trovare delle creature che non avrebbero sfigurato nel "Dracula" di Stoker è stata una sorpresa carina.