Dettagli Recensione
Case magiche, Luddock e Reali poveri in canna
Chairmain è una brava ragazzina, magari un po’ scontrosa e tanto, troppo amante della lettura. Suo padre, Sam Baker, il miglior cuoco e pasticcere di High Norland e, soprattutto, sua madre mai le hanno permesso di fare qualcosa di men che rispettabile, cioè, tradotto in modo semplice, sinora lei ha sempre vissuto nella bambagia senza imparare nulla della gestione di una casa. Quindi, quando, con gran sconcerto della signora Baker, la zia Sempronia viene a riferire che Chairmain dovrà occuparsi per qualche tempo della casa del prozio William, che è malato e che dovrà essere ricoverato presso gli elfi per curarsi, la sorpresa è forte per tutti.
Chairmain prende la novità come l’occasione di uscire di casa dove si sente sin troppo protetta, tuttavia lo zio William è un potente mago e la casa è fatata. Come potrà prendersene cura, visto pure che lo zio non le ha neanche fornito le debite istruzioni: infatti appena gli arriva in casa la nipote giungono gli elfi per portarselo via?
Ben presto Chairmain scoprirà che quel luogo giace nell’abbandono più completo: infatti i coboldi, che dovrebbero occuparsene, sono in sciopero contro il Mago, quindi ovunque ci sono sacchi di biancheria da lavare, stoviglie luride accumulate in alte pile, impianti idrici non funzionanti e sporcizia ogni dove.
A complicare la faccenda c’è la natura stessa della casa: all’apparenza è fatta solo di soggiorno e cucina, ma se, imboccata una porta, si gira a destra invece che a sinistra, o si fanno alcuni passetti laterali, si finisce in un labirinto di altre stanze, bagni, corridoi, magazzini, biblioteche, laboratori, cunicoli, grotte di coboldi e altri luoghi misteriosi e inesplorati, per di più non tutti situati nel presente. In aiuto di Chairmain (o forse è l’esatto contrario?) giunge Peter che dovrebbe fare d’apprendista al mago, ma non imbrocca un incantesimo neppure per sbaglio. Come ciliegina su questa torta già troppo ricca, Charmain riceve una lettera con la quale il Re in persona, in risposta a una lettera di referenze da lei inviata, le chiede di recarsi a palazzo per aiutarlo nella gestione dell’immensa biblioteca reale.
Comincia così il terzo e ultimo volume del ciclo dedicato al mago Howl e alle strampalate avventure in quel suo mondo magico. Lui, l’eponimo della serie, apparirà sotto mentite spoglie più avanti nella narrazione, assieme alla sua famiglia strampalata e al demone del fuoco Calcifer, giusto per rendere ancor più caotica la situazione, ma sin da subito le situazioni strane e scombinate si sprecano.
Più che nei romanzi precedenti si comprende che questa storia è pensata quasi esclusivamente per un pubblico giovanile. Le vicende si susseguono con lo stesso rapido ritmo con cui cambiano le scene nei film a cartoni animati. Non c’è molta attenzione ai personaggi che divengono essenziali non per come sono, ma per ciò che fanno. Anche il susseguirsi degli eventi non ha una connessione necessariamente coerente, ma, come nelle fiabe che ci si inventa per far addormentare i bambini, l’importante è che succedano più cose possibili, non importa molto se tutte logiche o conseguenziali. Anzi più strambe e (potenzialmente) comiche sono e meglio è. Ovviamente non possono mancare i “villain” di turno, nella specie rappresentati da un orrendo luddock, essere proteiforme dall’aspetto vagamente d’insetto, e dalla sua progenie, mentre ai coboldi (che somigliano molto ai puffi di Pejo) sono riservate parti più comiche e allusive (come la slitta tutta lustrini che stanno costruendo per gli elfi… immaginate a che scopo!).
Insomma ci troviamo davanti a una lunga, contorta favolona, piena di magia (anche per cucinare torte o riparare una tubatura incrinata!), personaggi strani e accadimenti surreali. Lo stile, ovviamente, è molto elementare, per adattarsi ai piccoli lettori a cui è rivolto, ma, indubbiamente ciò favorisce una scorrevolezza della lettura, anche se non è, di per sé, motivo di piacere. Per una persona adulta, infatti, il divertimento è relativo e, ogni tanto, subentrano pure alcuni momenti di noia, visto soprattutto che l’esito di tutte le vicende è abbastanza scontato. Ciononostante l’A., nei capitoli finali, si vede costretta ad un chilometrico “spiegone” per poter allacciare molti dei capi della trama che le sono restati pendenti.
Insomma il libro ha una sua ragion d’essere più che altro come chiusura del ciclo iniziato con “Il castello errante di Howl” il quale, a questo punto, si trova ad essere debitore, per gran parte della sua dignità, alla trasposizione cinematografica effettuata da quel genio dell’animazione che è il regista giapponese Miyazaky.
In definitiva è un romanzo consigliabile solo al pubblico giovanile al quale è dedicato e che ne potrà ricavare un discreto divertimento.
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Una breve annotazione conclusiva: le bibliografie della Jones ci narrano che l’A. prese a inventarsi storie e a dedicarsi alla letteratura scritta frustrata dal fatto che suo padre le avesse lesinato da bambina la disponibilità di libri, ritenuti una spesa superflua. Nei suoi romanzi sarebbero stati trasfusi molti episodi e aneliti autobiografici in cui lei, per interposto personaggio, metterebbe molta parte di sé e delle proprie esperienze di vita. La bramosia compulsiva per la lettura di Chaimain e, per motivi diversi, del Re di Norland, ne sono chiara testimonianza. Da un lato non si può non provare tristezza per quella lontana bambina che desiderava tanto leggere, ma che non poteva farlo, dall’altro, egoisticamente, viene spontaneo rammaricarsi per questa carenza: la lettura stimola e accresce le esperienze e lo sviluppo della vita interiore di una persona; la sua mancanza si riflette pure in ciò che pensa, scrive e inventa. I lettori della Jones, purtroppo, soffrono di questo deficit.
Indicazioni utili
- sì
- no