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Tappeti e castelli volanti
Secondo romanzo del ciclo dedicato al fantastico mondo di Ingary.
In questo libro, però, Sophie, il mago Howl, il demone Calcifer, e tutti gli altri personaggi della precedente storia fanno da mere comparse e unicamente nei capitoli finali. Protagonista assoluto è il giovane Abdullah, mercante di tappeti nella città di Zanzib, nel profondo sud di quel mondo. Il ragazzo conduce un piccolo emporio alla periferia del bazar (l’ambientazione richiama quella delle Mille e una notte) che è l’unico esercizio commerciale che possa permettersi, giacché il padre, ricco mercante, ha lasciato tutto ai parenti della prima moglie. Il giovane, però, è abbastanza sereno, guadagna il giusto per non vivere di stenti e conduce un’esistenza relativamente pacifica, se non venisse afflitto periodicamente dai parenti che lo criticano per la sua poca ambizione e vorrebbero a tutti i costi sposarlo con qualche donna di loro scelta. Abdullah, si consola facendo meravigliosi sogni a occhi aperti, nei quali immagina di essere il figlio rapito di un grande principe e di incontrare una favolosa principessa dopo innumerevoli avventure emozionanti.
Quasi a voler concretizzare questi castelli in aria, un giorno un tale, male in arnese, gli propone l’acquisto di un tappeto magico in grado di (ohibò!) volare. Inizialmente, da abile commerciante qual è, Abdullah, diffida, ma la stuoia pare che effettivamente voli. Quella stessa notte, mentre lui vi si è appisolato sopra, lo trasporterà in un meraviglioso giardino dove conoscerà la bellissima principessa Fior-della-notte, di cui lui si innamorerà perdutamente.
Da quel momento, però, mentre prima le avventure le sognava solamente, queste diverranno cruda realtà: Fior-della-notte verrà rapita da un terribile djinn, lui sarà fatto incatenare dal sultano, padre della ragazza, che gli imputa il rapimento. Pur riuscendo a evadere grazie al tappeto, per il povero Abdullah la pace diverrà solo un ricordo. Nel tentativo di ritrovare la ragazza, si troverà a combattere con geni della lampada, tappeti magici, briganti sanguinari, vecchi soldati imbroglioni, lunghi, pericolosi pellegrinaggi, maghi e streghe di ogni natura e djinn dalle perverse astuzie. Perciò dovrà patire e penare sino al lieto fine di prammatica.
Il “Castello errante di Howl” ha ottenuto una dignità d’opera d’arte grazie, soprattutto, alla sontuosa trasposizione animata di Miyazaki. Questo libro, invece, mette in luce ciò che è veramente l’intero ciclo di romanzi: una complicata e intricata favola per ragazzini, ma degli anni ’90, perché temo che quelli di oggi rischino di annoiarsi abbastanza a leggere questa versione caricaturale delle fiabe delle Mille e una notte.
La piacevolezza della storia viene salvata in ultima analisi solo dall’umorismo di fondo che pervade ogni avventura strampalata che capita ad Abdullah. In genere, però, si tratta di comicità in stile slapstick o, meglio, ispirata a quella dei cartoni della Warner. Non sono riuscito a ritrovare la poesia e l’immaginifica leggerezza che il regista giapponese era riuscito a spremere dal primo romanzo. Mi è sembrato, inoltre, che si sia voluta aggiungere troppa carne al fuoco con il risultato di rendere il tutto, un po’ indigesto. Per non parlare del finale ove si cerca di riannodare ogni filo lasciato pendente con espedienti sin troppo artefatti.
Complessivamente, comunque, è un libro leggero, scritto in stile scorrevole e non alieno a strappare qualche risata ogni tanto. Insomma un’opera senza infamia e senza lode, ma non disprezzabile.