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Fanghiglio Frondoso e Lanny
«Arrivò il suono di un canto,
Caldo di fiato creaturale,
E lui si è accoccolato contro di me,
Mi si è appollaiato in grembo,
Mi si è stretto al collo.»
“Lanny” di Max Porter, edito da Sellerio, è prima di tutto sperimentazione. Tanto narrativa quanto dal punto di vista del contenuto. Sin dalle prime pagine colpisce, scuote, disorienta per essere un esercizio di stile perfettamente riuscito, un gioco letterario e artistico, un tuffo pieno e completo nella creatività. Basti pensare a chi apre le danze della narrazione e più precisamente Fanghiglio Frondoso, albero secolare del villaggio, che tutto ascolta e tutto custodisce. Irriverente, malizioso e arguto nel suo narrare per mezzo di una parola che va fuori dagli schemi già solo per il suo proporsi. A seguirlo nel narrare Lanny, un bambino che a sua volta assorbe e fa proprio il pensiero altrui, un giovane puro che parla la lingua più antica, quella della natura, facendola sua, rendendola propria. Scoperte, novità, assenza di confini muovono Lanny a differenza degli adulti che non possono essere padroni delle proprie azioni e non possono salire sul parco della vita perché manovrati da schemi e da un burattinaio più grande che insieme al tempo che fugge e rifugge ne scandisce le azioni e ne delinea le scelte e conseguenze. Ma Lanny scompare. Cosa è successo e perché? Cosa ne è stato del piccolo? La ricerca ha inizio. Cosa ne sarà di lui?
«Siamo piccole scintille arroganti in uno schema grandioso.»
Avvicinarsi a un libro con queste caratteristiche, con queste capacità significa in primo luogo scegliere di mettersi alla prova e abbracciare un universo fatto di decostruzione in primis grafica. Quello che avviene è infatti un gioco decostruttivo di quella canonica forma grafica che non è però un qualcosa di fine a se stessa quanto un qualcosa di appartenente a un disegno più grande. E se in una prima parte del libro a stupire sono il narratore albero con le sue tante ramificazioni nodose e l’alienazione del giovane umano protagonista, nella seconda è il caos ad affastellare le pagine adesso prive dello spirito del bosco ma anche della purezza di Lanny. Il villaggio a sua volta è preda di voci che non hanno un io protagonista distinto e indiscusso quanto circolano sparsi tra voci che si sovrappongono.
Infine, la terza parte. Forse quella meno postmoderna, quella meno artistica nella struttura e nella prosa, ma comunque sempre estremamente visionaria. “Lanny” è un libro certamente ecologico, un libro che fa da inno alla simbiosi tra uomo e natura ma è anche un volume dalle tinte fiabesche che scuotono e restano, che nella sua frammentazione linguistica porta a una ricerca. Non solo dal punto di vista delle “sorti” del ragazzo quanto anche nella capacità e difficoltà di entrare in storie altrui con un ritmo costante che mai accelera ed immagini che sembrano acquarelli, che sembrano annacquate e diluite con troppa acqua. A far da padrona, la Natura. A concludere il quadro i sensi di colpa anche e non solo dei genitori.
Non è un libro semplice, “Lanny”. È uno scritto che solo in parte coinvolge ed entra in empatia, è un libro che in parte tiene a distanza, è un libro in cui si alterna anche una struttura narrativa teatrale, è un libro in cui a vincere è certamente la curiosità e la maestria dello scrittore nel riuscire a stimolare e a spronare a non fermarsi, a non limitarsi alle apparenze ma ad andare oltre. Perché alla fine un po’ tutti vorremmo riuscire a vivere con quella che è l’innocenza degli occhi di un bambino mixato alla capacità di credere davvero e senza dubbio nella forza delle idee. Uno scritto adatto a chi vuol sperimentare e mettersi alla prova.
«La memoria ondeggia come un timone difficoltoso, poi si solleva di schianto e prende il vento.»