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Nessuno ha ciò che merita. E va bene così
Con "L'ultima ragione dei re" si conclude la prima trilogia di Joe Abercrombie ambientata nel Mondo Circolare; e si tratta senza dubbio di una conclusione che, pur lasciando molti lettori insoddisfatti, mantiene la propria coerenza con il tono dell'intera serie.
Come per i volumi precedenti, la storia segue i sei punti di vista dei personaggi principali, ma qui abbiamo molti più capitoli in cui i POV vengono affiancanti, anche perché ci sono parecchie scene in cui tutti i protagonisti sono riuniti nel medesimo luogo. Per ricapitolare un po' gli eventi e le mie impressioni, sfrutterò anch'io i nostri sei (per nulla) eroi.
West è il personaggio che mi ha interessata meno, forse perché gli spunti più intriganti sul suo percorso li abbiamo avuti in "Non prima che siano impiccati"; qui ha un ruolo molto marginale, sia durante la guerra contro Bethod sia nella battaglia di Adua, che trovo mal gestita in generale. Unico suo momento apprezzabile è la manipolazione ai danni dei due generali, in cui lo vediamo dimostrare un po' dell'intelligenza che gli ha permesso di fare strada nell'esercito.
Anche Mastino è stato notevolmente ridimensionato, in particolare nella seconda metà della storia, tanto che l'autore sembra dimenticarsi di lui nell'epilogo. Lo ritroveremo forse nei volumi seguenti? non voglio farmi spoiler andando a controllare, ma sicuramente in questo libro avrebbe potuto dare qualcosa di più oltre ad assistere alla morte dei suoi compagni. Tra l'altro, tutte le morti descritte in questo volume sono perfette per il tipo di storia: nessuna azione eroica o avversario formidabile, i personaggi muoiono in modo casuale e per ragioni banali, e lo trovo assolutamente azzeccato.
Nonostante una conclusione frettolosa, Ferro si conferma il mio personaggio preferito; il suo contributo alla trama è circoscritto alla scena in cui usa il Seme, ma riesce a dare sempre un'idea di dinamismo alla narrazione. Giuro che non è il mio lato da shipper a parlare, ma troncare così la sua relazione (non necessariamente romantica) con Logen mi ha lasciata perplessa, anche perché sembra che nessuno si sia preso la briga di spiegare a lui cos'ha passato 'sta poraccia.
Passando proprio a Logen, devo ammettere di averlo mal sofferto per tutto il romanzo: come per Mastino, il suo ruolo si esaurisce con la sconfitta di Bethod, e poi lo vediamo vagare senza un reale obiettivo. Ho adorato però la sua ultima scena, che riprende brillantemente la prima de "Il richiamo delle spade"; una conclusione circolare che trovo alquanto adatta al personaggio.
E passiamo finalmente a qualcuno che, pur risultando quasi inutile ai fini della trama, per lo meno ci da qualche gioia. Jezal ci permette di sperare che, con il tempo, il suo governo diventerà più illuminato e giusto; è anche uno dei pochi personaggi a regalarci qualche scena divertente in un romanzo che, per il resto, mantiene un tono generalmente cupo, anche più dei precedenti.
Per quanto riguarda il buon Glokta, dopo aver compiuto azioni pressoché inutili per ben due libri, qui lo vediamo decisamente più centrale per l'intero volume, tanto che l'epilogo è gestito quasi interamente da lui. Nel complesso il finale concessogli dall'autore è quello più positivo, anche se bisogna ricordare che è forse il personaggio sul quale si era accanito di più fino ad allora.
Ci sono infine un paio di dettagli che, tutto considerato, rendono questo volume meno valido del secondo. Il primo è l'assenza degli antagonisti -che in realtà è una costante della serie- ma qui mi sarei aspettata di vederli finalmente in azione, per lo meno nello scontro finale, invece il caro Khalul è tutt'ora uccel di bosco; il secondo aspetto riguarda la rivelazione sui piani di Sult che, oltre ad essere incoerente con quanto mostrato nei libri precedenti, stravolge completamente la psicologia del personaggio. Nonostante questi (ed parecchi altri!) difetti, la serie mi ha intrattenuta molto: sono curiosa di leggere altro scritto da Joe.