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Echi. Chi sono io?
«In ognuno di noi c’è un confine, Miss Eulalia. È una cosa… necessaria, una cosa che ci limita, una cosa che… ci mantiene all’interno di noi stessi. Ecco… loro cercheranno di farvi varcare questo confine. Qualsiasi cosa vi dicano, miss, la decisione sarà vostra.»
I crolli hanno seminato il panico su Babel. Sono ormai diventati un qualcosa di tale da sconvolgere gli equilibri e di tale da portare le alte cariche e gli Spiriti di Famiglia alle più improbabili delle decisioni. La necessità di trovare l’equazione che risolva il mistero, che codifichi il codice di Dio e che riveli la misteriosa figura dell’Altro è un qualcosa di ancor più primaria necessità per Thorn e Ofelia. A maggior ragione da quando gli echi sono ovunque.
«Non dovrebbero esserci, è proprio questo il problema. Tecnicamente non sono neppure echi nel senso stretto del termine. Un eco normale, per esempio, si ha quando la voce torna indietro dopo aver rimbalzato contro un muro, quindi è il ritorno di un’onda verso la fonte che l’ha emessa. Questi echi hanno un comportamento del tutto diverso. Non si sentono e non si vedono. Gli unici a rilevarli, per giunta accidentalmente, sono i nostri apparecchi. No, […] questi echi non si muovono sulla nostra stessa lunghezza d’onda. Non hanno niente di normale. Anzi, sono diventati pericolosi.»
Le lancette del tempo battono senza interruzioni e a un ritmo rapidissimo. I due protagonisti, innamorati, certezza e pieni l’uno dell’altra, devono mantenere un profilo basso e non possono manifestare i loro sentimenti alla luce del sole. È l’unico modo per decodificare, per continuare a indagare, per scoprire cosa sia il Corno dell’abbondanza nonché la sua vera funzione. Thorn agirà tra le mura dell’Osservatorio, luogo in cui è stato inviato da coloro che detengono le fila delle sue sorti e sarà raggiunto dalla moglie che pur di poterlo aiutare e di venire a capo della matassa, si farà ricoverare spontaneamente. Per tante ragioni, perché ella, per una motivazione determinata, può essere ammessa a uno specifico programma e può, ancora, essere gli occhi del marito.
Avrà inizio così un vero e proprio susseguirsi di tasselli che confluiscono al loro posto sino ad arrivare, pagina dopo pagina, a ricomporre quello che è il disegno finale ideato dalla Dabos.
Un capitolo diverso dai precedenti. Come sempre l’opera è un crescendo che riparte esattamente dal punto in cui si è interrotta come se fosse un lungo e ininterrotto cammino che viene man mano percorso in un alternarsi di salite che portano a vette che aprono gli occhi sull’orizzonte ma che continuano a cercare la cima più alta e non manca nemmeno una trama articolata che questa volta si concentra totalmente sulla risoluzione dell’enigma. Non mancano, ancora, nemmeno gli aspetti emozionali relativi ai due protagonisti che nuovamente vengono messi alla prova per mezzo di situazioni limite e assolutamente imprevedibili ma che comunque riescono ad amarsi. Non manca la loro crescita, non manca la loro fragilità, in particolare quella di Thorn che diventa un personaggio sempre più complesso e stratificato.
La narrazione della Dabos è coinvolgente, forse un poco confusionaria e lenta nella prima parte in cui ancora non è chiaro quale sia il quadro che abbiamo davanti, ma comunque solida e consistente. La vicenda si sviluppa in modo lineare e confluisce in un epilogo che chiude questa quadrilogia ma che al contempo lascia all’autrice la possibilità di tornare un domani a intervenire sulle sorti degli attori principali e non solo. Ciò potrà far storcere qualche naso oppure sollevare l’animo di chi non vuol separarsi dal mondo a cui tanto si è affezionato.
Un libro che ho letto un poco alla volta per non finirlo, che ho assaporato per cercare di farlo durare il più a lungo possibile, un libro che nonostante tutto ho finito troppo rapidamente. Un degno capitolo conclusivo per quella che è una saga che si fa amare dall’inizio alla fine e che continua a sapersi distinguersi dalla massa per tutte le sue peculiarità.
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