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Giochi prospettici
Premettendo che il libro in questione è stato scritto per la prima volta in giapponese, mi appresto a valutarne lo stile: quest'ultimo, infatti, immagino sia stato rielaborato pesantemente dalla traduttrice per rendere il testo originale (basato su una lingua sillabica con migliaia di ideogrammi) più fruibile ai lettori italiani.
Del risultato, tuttavia, non ci si può assolutamente lamentare.
Lo stile di "Appartamento 401" è semplice ed immediato, privo di inutili giri di parole che avrebbero altrimenti distolto l'attenzione dai messaggi del romanzo, veri suoi punti forti.
Seguiamo infatti le ordinarie "avventure" di cinque giovani ragazzi giapponesi, coinquilini (abusivi) nella capitale nipponica Tokyo. I capitoli sono suddivisi in base ai ragazzi stessi e di questi prendono anche il nome (tranquilli, non si tratta di veri e propri spoiler, queste informazioni si apprendono praticamente subito una volta iniziato il romanzo).
Questo particolare modo di strutturare la sua opera fornirà all'autore la possibilità di cambiare ripetutamente il punto di vista della narrazione, analizzando gli stessi eventi ma focalizzandoli in modi via via differenti.
E qui sta quello che io reputo il primo grande messaggio del romanzo: non sempre, anzi quasi mai, il "come ci vediamo noi" coincide con il "come ci vedono gli altri". Capiterà spesso (giusto per fare un esempio) che nel corso della narrazione le scelte opportunistiche di qualcuno vengano scambiate come solidali da qualcun altro e viceversa. Lo strumento che l'autore usa per rendere appieno questo effetto di "estraniamento" (o, se preferite, di "inaffidabilità" della voce narrante) è proprio il cambio di focalizzazione, espediente che in caso di "Appartamento 401" risulta perfettamente riuscito.
L'altro grande messaggio del romanzo, il più importante forse, è costituito dall'analisi che Yoshida fa de "La Condizione Umana". Non a caso ho scelto di scrivere queste ultime parole con lettere maiuscole e fra virgolette. "La Condizione Umana" è infatti un quadro del pittore belga R. Magritte, che rappresenta senza soluzione di continuità un paesaggio ed un dipinto davanti ad esso che, appunto, lo "continua". In sostanza, non si può sapere con assoluta certezza se quello che si vede rappresentato sulla tela è effettivamente il paesaggio che si vede dal quadro a meno di andare noi stessi dietro quest'ultimo. Semplificando al massimo, la riflessione che Magritte voleva suscitare nello spettatore è il rapporto realtà/apparenza.
Leggendo "Appartamento 401", questa riflessione si presenta a noi di continuo, dalle primissime fino alle ultimissime pagine. E la cosa ancora più spiazzante è che l'autore non dà mai risposte certe, siamo noi lettori a dover cercare di capire dove sia nascosta la verità e chi all'interno del gruppo dei ragazzi stia (inconsapevolmente) mentendo.
Tirando le somme, leggendo "Appartamento 401" si ha l'impressione di assistere agli eventi attraverso uno spesso e fumoso "velo di Maya", dove i cambi di focalizzazione e l'inaffidabilità dei narratori sembrano voler fare a gara per far capire il meno possibile cosa stia succedendo. L'effetto finale è al contempo meraviglioso ed inquietante, e se si aggiunge che molto è lasciato all'interpretazione personale, la piacevolezza del romanzo non può che essere (a mio modestissimo parere, ovviamente) elevata.
Concludo questa recensione con una nota a margine: il libro è stato stampato per la prima volta in Italia nel 2019, anche se in Giappone era già uscito nel 2002 (è infatti la prima opera pubblicata da Yoshida). Ciò implica che, essendo ormai passati quasi vent'anni, alcune delle situazioni e degli oggetti descritti (walkman, TV con tubo a raggi catodici, videocassette e videoregistratori, etc...) risultano inevitabilmente anacronistici rispetto ad oggi. A non invecchiare è tuttavia la saggia descrizione che l'autore fa della società giapponese, per noi occidentali così distante ma al contempo così affascinante.