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Un prologo prolisso
Se anni e anni di libri, film e serie TV ci hanno insegnato qualcosa, è che nel 99% dei casi il futuro sarà uno schifo: sola eccezione è l’utopia popolata dai robot domestici de “I pronipoti” della Hanna-Barbera.
Ed infatti eccoci nell’ennesimo futuro post-apocalittico in cui la civiltà umana è regredita ad un nuovo Medioevo. Se questa introduzione vi suona familiare è perché le premesse sono praticamente le stesse di “The Queen of the Tearling” di Erika Johansen, romanzo al quale “Il principe dei fulmini” si può associare anche per la presenza di essere magici e per un aspetto a dir poco assurdo: dopo il cataclisma (si fa riferimento ad un conflitto, ma la geografia del mondo fa pensare anche all’innalzamento del livello dei mari) ogni conoscenza medica e tecnologica dell’ultimo millennio sembra scomparsa, mentre le opere di Plutarco, Shakespeare e Nietzsche si sono salvate (meno male...). Sono di scena anche sovrani e nobili di vario ordine, in lotta fra loro, a capo di tanti piccoli feudi, residuo di quella che un tempo era l’Europa, come nei territori del Tearling.
A scindere in modo netto l’esordio narrativo di Lawrence da quello della Johansen sono però le scene di violenza che chiazzano di sangue ogni pagina. E se pensate che anche la cara Kelsea dovesse affrontare una buona dose di scontri e battaglie, vi ricrederete dopo aver conosciuto Jorg.
Il nostro protagonista è infatti avvezzo ad ogni sorta di barbarie e questo elemento non viene minimamente smussato nella narrazione, che non risparmia al lettore descrizioni sanguinarie e rivoltanti. Quindi il primo requisito necessario per poter affrontare questa lettura è avere uno stomaco resistente, altrimenti consiglio di orientarsi verso altri romanzi.
Agli intrepidi che sono invece ancora interessati a questo volume dico: avete fatto una buona scelta. Non ottima, perché il romanzo ha oggettivamente alcuni difetti, ma su quelli mi soffermerò dopo, per ora affrontiamo la trama.
La storia ruota attorno al giovane Jorg Ancrath, principe di uno dei tanti staterelli di questa Europa futuristica, in particolare nel nord dell’attuale Francia. Pur essendo l’erede al trono, Jorg non vive nell’Alto Castello con il padre, ma vaga tra i villaggi a capo di una banda di briganti che si dilettano nel mettere a ferro e fuoco le capanne dei contadini e nel derubare gli ignari viandanti; la missione del protagonista è però ben più importante, ovvero uccidere il vicino Conte di Renar, l’uomo che anni prima ordinò l’assassinio di sua madre e del fratellino William.
In questo primo capitolo, vediamo Jorg e i suoi Fratelli (come vengono chiamati i tagliagole al suo seguito) impegnati in varie sfide, dall’imboscata ad una pattuglia all’assalto ad una fortezza inespugnabile, ma in generale gli eventi importanti sono un numero ristretto perché l’autore sceglie di sfruttare il primo libro per gettare le basi di quella che sarà poi la trilogia Broken Empire. Anche nei flashback che interrompono a tratti la narrazione al presente, non vengono illustrati per intero gli eventi tra la partenza di Jorg dall’Alto Castello al suo ritorno quattro anni dopo, come capo dei Fratelli, probabilmente per esplorare meglio questo periodo nei volumi successivi.
L’aspetto che mi ha maggiormente catturato nella storia è sicuramente la figura del mago. Non tanto gli stregoni presenti, seppur siano dei personaggi degni di nota, quanto la concezione della magia come forza che piega le menti, si insinua nei sogni e sussurra ordini all’inconscio. A differenza della trilogia iniziata con “La Corporazione dei maghi” di Trudi Canavan, gli incantatori che troviamo nell’Impero Spezzato sono ben più ambiziosi e, fingendo di obbedire agli ordini dei re e nobili, sfruttano la vicinanza agli uomini di potere per sfidarsi nel loro personale gioco del trono (riferimento puramente intenzionale).
Altro elemento che allontana il libro dai canoni classici del genere fantasy è il suo crudo realismo, evidente sia nella scelta di rendere protagonisti degli assassini, sia nel tono in cui vengono narrati gli avvenimenti ed i comportamenti dei personaggi che, benché messi in ombra dalla predominanza del protagonista, risultano nel complesso ben caratterizzati.
Il focus de “Il principe dei fulmini” è infatti diretto solo su Jorg, che tiene anche le redini della narrazione. Leggendo il suo POV l’ho istintivamente associato al Lighi Yagami di “Death Note”, per la spietata lucidità con cui pianifica le sue mosse ed agisce senza lasciar spazio a sentimenti come l’affetto o la pietà; in questo romanzo manca però un L che bilanci il crudele principe, essendo praticamente assenti dei personaggi principalmente virtuosi. La narrazione in prima persona si rivela indispensabile per comprendere i pensieri dietro alle azioni di Jorg, ma ha però degli svantaggi: si finisce per leggere senza alcuna reazione di omicidi spietati e vengono tralasciati i dettagli in molte scene, con un’esasperazione dello show don’t tell che rende alcune parti frettolose e confuse tanto da rendere obbligatoria una seconda o una terza lettura per inquadrare bene gli eventi.
Oltre a questo aspetto, i difetti a cui ho accennato sono abbastanza circoscritti e già lamentati da chiunque abbia scritto una recensione a questo libro. L’età del protagonista non è assolutamente credibile, anzi la maggior parte così dimentica di avere di fronte un quattordicenne, soprattutto perché Jorg si atteggia a uomo vissuto e anche gli altri lo trattano come tale. Per l’edizione italiana, la Newton Compton ha poi scelto di adottare una traduzione a dir poco fantasiosa del titolo: non sarebbe un gran problema non fosse che nel testo il protagonista viene chiamato proprio Principe dei Rovi.