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Ma dove vai, se la mappa non ce l'hai
Al momento di scrivere il commento a “The Help” di Kathryn Stockett, ho procrastinato per diversi giorni in cerca delle parole giuste, e ora mi trovo mio malgrado in una circostanza analoga con “La città di sabbia”; le situazioni presentano invero parecchi somiglianze, perché prima di iniziare la lettura ero riluttante ad approcciarmi ad entrambi i volumi, mentre leggevo non riuscivo a staccarmene e una volta terminati la gioia per la lettura fruttuosa non era accompagnata da un impellente desiderio di mettere nero su bianco le mie opinioni.
Non di meno, eccomi infine pronta ad elogiare il secondo volume della trilogia de “La chimera di Praga”. Seguito davvero superiore al primo libro -“La chimera di Praga”, appunto- soprattutto per la scelta di limitare l’uso dei flashback a poche scene distinte anziché ammassarli in capitoli a parte. La seconda parte del primo libro era appesantita dalla valanga di flashback che finivano per accantonare la storia principale e creavano un progressivo calo di interesse nel lettore. Questo è tra l’altro il motivo principale per cui non ero proprio entusiasta all’idea di continuare la serie.
La storia prende l’avvio qualche settimana dopo che Karou ed Akiva hanno liberato i ricordi spezzando l’osso del desiderio e si sono separati: il Serafino di ritorno tra i suoi fratelli Illegittimi e la ragazza alla ricerca di un portale per Eretz, decisa a vedere con i suoi occhi il tragico destino della sua specie.
Per le prime cinquanta pagine, la narrazione non si sofferma mai direttamente su Karou, mostrando invece dei capitoli POV di Akiva e Zuzana, con la protagonista relegata ai margini della scena. I capitoli incentrati sul Serafino ci mostrano -come da me auspicato- nuovi dettagli sull’Impero ed introducono in modo maggiormente approfondito i già visti compagni di Akiva, l’estroverso Hazael e l’ombrosa Liraz. Nelle parti della giovane burattinaia vediamo soprattutto i tentativi suoi e di Mik per ritrovare Karou.
La protagonista si fa attendere, è vero, ma quando entra in scena l’aspettativa è ben ripagata da quello che annovero tra i migliori personaggi di cui abbia mai letto. Karou è caratterizzata con estrema cura e i suoi comportamenti sono sempre chiari e ben motivati; all’inizio la troviamo molto diversa da com’era nei primi capitoli de “La chimera di Praga”, perché lo sterminio operato dai Serafini a Loramendi l’ha costretta a mettere da parte la sua indole pacifica in nome della vendetta su coloro che hanno distrutto la sua famiglia e la sua terra. L’incontro fortuito con una vecchia conoscenza contribuirà ad acuire il suo desiderio di rivalsa delle Chimere superstiti.
Karou non è affatto una ragazza debole o influenzabile, ma è comprensibile come sembri persa ed indifferente alla violenza all’inizio; solo la reunion con Zuze l’aiuterà ad aprire gli occhi su ciò in cui si sta trasformando la ribellione. Questo è di certo uno degli aspetti che ho preferito: come abbiamo visto ne “Il circo della notte” di Erin Morgenstern o di recente in “Hollow City” di Ransom Riggs, è frequente nei fantasy che il protagonista, una volta scoperto il proprio epico destino, abbandoni su due piedi la monotona vita umana per dedicarsi anima e corpo alla salvezza del globo terracque; in questo libro invece le amicizie “umane” non vengono dimenticate e rimangono l’ancora della protagonista, ed il mondo reale non scopare anzi, nella parte finale torna prepotentemente ad affermare la sua importanza.
Come avrete capito, ho amato tutti i coprotagonisti, umani, Serafini e Chimere, come non mi capitava dai tempi del fangirleggiamento (e petaloso muto!) adolescenziale; c’è poco da fare: la Taylor eccelle nella caratterizzazione, anche quando si tratta di misere comparse. Akiva invece è tutt’altro paio di maniche, perché a dispetto della mia buona volontà continuo a mal sopportarlo. Lui è quasi l’opposto di Karou e mentre lei reagisce e combatte, il Serafino si lamenta e invoca la morte... insoffribile.
I cattivi mi creano qualche perplessità. Jael richiama molti cliché degli antagonisti classici (volto sfigurato, piacere nel torturare, continui rimandi alla lussuria), mentre Thiago con la sua costate ambiguità cela meglio il suo lato feroce e all’inizio era riuscito a farmi dubitare del suo temperamento.
Come già detto per il primo capitolo, non posso che valutare positivamente lo stile e, soprattutto, le poetiche descrizioni della Taylor: ritengo che quelle incentrate sulla kasbah in Marocco e il palazzo di vetro dell’Imperatore Joram siano le più suggestive.
C’è qualcosa da criticare in questo libro? Sì, anche se si tratta di due aspetti collegati all’edizione e non la romanzo. In questo libro compaiono molte creature magiche e, soprattutto, diversi tipi di Chimere dai nomi non proprio intuitivi, quindi avrei apprezzato una breve appendice per riepilogare le caratteristiche principali delle varie specie, così da evitare continui salti da una pagina all’altra in cerca di chiarimenti. Altro errore è l’assenza di una mappa del mondo di Eretz, che aiuti il lettore a comprendere gli spostamenti dei personaggi ed i luoghi in cui si svolgono i vari scontri; in questo caso la colpa è da imputarsi alla Fazi, perché nell’edizione originale la cartina era presente.