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Bene, ma non benissimo
Se un lettore continua una saga deludente, ci sono due ragioni: spera in un irrealistico miglioramento dello stile oppure ha già comprato tutti i volumi e si sentirebbe in colpa a non leggerli. Mi imbarazza dover ammettere che ho continuato la lettura della Black Magician Trilogy per il secondo motivo.
In realtà avevo anche qualche speranza che la storia ingranasse un po’ e ci fossero più azione ed emozioni; da un lato, posso dire di essere stata accontentata, perché rispetto a “La Corporazione dei maghi” questo secondo volume ha una trama maggiormente densa di eventi, nonché una discreta evoluzione dei personaggi principali.
La storia riprende alcuni mesi dopo la fine del primo capitolo, con Dannyl pronto a partire per Elyne dove sarà Ambasciatore e Sonea che, dopo essersi allenata con Rothen, sta per iniziare il suo primo anno da novizia presso l’università della Corporazione.
Nel primo romanzo avevo trovato alcune somiglianze con la saga Potteriana, e analogamente qui ho provato un senso di déjà vu collegato alla serie del Mondo Emerso in generale, e a “Nihal della Terra del Vento” in particolare, ma non posso certo gridare al plagio in questo caso, perché il romanzo della Troisi è stato pubblicato ben due anni dopo. Comunque alcuni elementi sono davvero simili: la giovane protagonista che riesce ad accedere ad una scuola dove “quelli come lei” (gente dei bassifondi da una parte e donne dall’altra) non sono mai stati ammessi prima, ed è vittima delle molesti dei compagni. A completare il quadro, possiamo aggiungere la figura del saggio maestro (Rothen/Ido) e del misterioso antagonista da affrontare rigorosamente nell’ultimo libro (Akkarin/il Tiranno).
Parlando della trama, ho notato alcuni miglioramenti come la presentazione di nuove ambientazioni, grazie ai viaggi di Dannyl, e delle scene adrenaliniche ed emozionanti nella parte finale. Ma ciò che più ho apprezzato è sicuramente come la Canavan abbia trattato il tema della tolleranza, sia verso chi ha origini umili sia in relazione all’orientamento sessuale, con molto accortezza e sensibilità.
Per quanto riguarda i personaggi, in questa serie è d’obbligo fare una distinzione tra quelli principali e le comparse, che non sono nulla più di sagome in cartone messe in scena con il solo nome a distinguerle, e poi fatte sparire in modo randomico.
Anche in questo volume ho tollerato a fatica la protagonista: nonostante quanto ha vissuto, Sonea continua a dimostrarsi debole e vittima delle decisioni altrui. Purtroppo è un personaggio che il lettore deve quasi farsi piacere a forza, perché è una delle pochissime figure femminili nell’intera saga.
Il nuovo antagonista ha mostrato gli stessi difetti di Lord Fergun, infatti anche Regin è del tutto privo di una motivazione seria e credibile, ma è ancor più assurdo che così tanti novizi gli diano retta. Mi sono invece piaciuti il Sommo Lord, tratteggiato in modo da renderlo ambiguo e spaventoso (forse anche troppo) e Lord Dannyl che rispetto al primo libro ha avuto molto più spazio e uno sviluppo notevole.
La Canavan ha però scelto di accantonare, o meglio eliminare, parecchi personaggi importanti ne “La Corporazione dei maghi”, nonché due ottimi spunti, quali il governo tirannico del sovrano e le trame dell’organizzazione criminale note come i Ladri.
Come già accennato, lo stile dell’autrice non pare migliorato, anzi è ancora molto banale e si dilunga eccessivamente in descrizioni del tutto inutili o in scene ripetute più volte, come gli attacchi della banda di Regin ai danni di Sonea.
A mio giudizio, l’edizione italiana della Nord (TEA in flessibile) ha contribuito notevolmente a svilire una serie non proprio brillante: due problemi minori e forse soggettivi, ma che saltano subito all’occhio, sono le traduzioni arbitrarie dei titoli da questo volume in poi e i molti refusi per la mancata revisione, presenti soprattutto nella seconda parte del volume. Il difetto peggiore è però la sinossi in quarta di copertina, che di nuovo si dimostra pressappochista e zeppa di spoiler; nel primo libro ciò era spiegabile con la brevità della trama stessa, ma qui non c’è davvero scusa che tenga.
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