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Eragon (e Paolini) alla resa dei conti
Inheritance è l’ultimo capitolo della torrenziale saga dedicata al giovane Cavaliere di Draghi Eragon ed alla sua dragonessa blu Saphira.
Il libro è tutto incentrato sulla lotta finale tra le forze ribelli di umani (Varden e del Sudra), elfi, nani ed Urgali, coalizzate e l’Impero del crudele Galbatorix che ha asservito sotto il suo dispotico potere magico quasi tutta Alagaësia.
L’esercito dei Varden prosegue la sua temeraria avanzata nei territori dell’Impero, conquistando le città ed i paesi che lo separano dalla capitare Urû’baen e dal perfido imperatore. Dopo numerose battaglie, che Eragon, Roran, Arya, Nasuada e gli altri protagonisti affrontano vittoriosamente contro gli eserciti lealisti, un drammatico colpo di scena rischia di mettere in forse la coalizione e di far crollare le già esili speranze di vittoria. Eragon, perciò, dovrà compiere un ennesimo pericoloso viaggio in solitaria che lo porterà a scoprire uno sconvolgente segreto che potrebbe far pendere a loro favore le sorti del conflitto. Nel frattempo Nasuada (capo dei Varden) sarà costretta ad affrontare una ancor più straziante e diretta lotta con l’oppressore.
Quando l’esercito Varden e quello degli elfi si riuniranno sotto l’imponente cinta muraria di Urû’baen per l’assalto finale, due distinte battaglie avranno luogo: una, tra i due eserciti contrapposti entro la cerchia cittadina, sanguinosissima e dagli esiti sempre incerti, e un’altra, soprattutto mentale e a colpi di magia, che Eragon dovrà sostenere contro Galbatorix ed il fratellastro Murthag nel palazzo imperiale, in un epico faccia a faccia che vedrà coinvolti anche tutti i draghi di Alagaësia, Arya e la piccola veggente Elva.
Nella prima battaglia, Roran, cugino di Eragon, riuscirà a ribaltare gli esiti della convulsa mischia con il suo coraggio e la sua tenacia. La seconda, ben più decisiva della prima, vedrà il giovane Cavaliere prevalere sulla smisurata potenza del tiranno e dei suoi servi solo grazie alla sua inventiva ed alla sua abnegazione e bontà d’animo.
Dopo una lunga pausa di riflessione, e, letteralmente, fattomi forza, ho ripreso in mano la tetralogia di Paolini per portarne a compimento la lettura, sempre più ponderosa e faticosa.
A differenza dei due volumi centrali, molto più meditativi, in questa quarta parte prevale l’azione: numerose sono le battaglie concitate e gli scontri sia fisici che mentali affrontati dai personaggi. Tuttavia il livello generale dell’opera si risolleva in modo appena tangibile. Infatti le descrizioni dei combattimenti, pur infarcite di continui colpi di scena, dopo un po’ risultano ripetitive e monotone, anche per colpa dell’insistito ripresentarsi delle medesime situazioni in cui i “buoni” sono costretti ad affrontare i “cattivi” in situazione di disperata inferiorità e i secondi sono così inverosimilmente superiori da sfiorare il ridicolo involontario. Dunque tutti questi lunghi capitoli zeppi di spadate, imboscate, fiammate draghesche e artifici magici prima o poi ingenerano solo noia e stanchezza. La sensazione generale è che Paolini abbia voluto diligentemente seguire quella che sarebbe stata la logica evoluzione di una campagna militare senza omettere alcun particolare, ma, così facendo, ha allungato il brodo della sua narrazione oltre il sopportabile.
Infine assolutamente superflui e defatiganti sono gli ultimi dieci capitoli in cui si pretende di riallacciare ogni filo narrativo restato pendente. Nei film, capita, a volte, che i titoli di coda siano preceduti da un “che accadde poi ai protagonisti?”. Idea a volte simpatica ed a volte solamente curiosa. Da un romanzo, però, non si pretende di apprendere tutti i futuri sviluppi: la storia deve essere autoconclusiva, altrimenti diviene la sceneggiatura di una telenovela!
Conclusivamente debbo osservare che sarebbe lecito aspettarsi che uno scrittore, acquisendo esperienza, migliori il proprio stile e produca opere progressivamente migliori. Non è avvenuto così con Paolini che, dopo il primo volume, di un certo pregio, ha imboccato una parabola discendente che non s’arresta neppure nella catarsi finale della sua storia.
Non c’è da sorprendersi, poi, se anche in quest’ultimo volume siano frequentissimi i “furti” più o meno consapevoli da autori più titolati di Paolini. Quindi ritroviamo gli infiniti “apporti” per i quali l’A. deve ringraziare Tolkien, il ciclo lucasiano di Star Wars, quello di Shannara di Brooks. Ritornano, poi, echi dal ciclo di Dune di Herbert e “ispirazioni” dalla Le Guin (in particolare dal ciclo di Earthsea). Il rapporto d’odio-amore tra torturatore e vittima richiama Goodkind (“La spada della verità”). Lo stesso stratagemma utilizzato da Eragon per sconfiggere Galbatorix ha avuto precedenti molto più illustri: a me, in particolare ha ricordato tanto (troppo!!) un racconto del 1939 di John Campbell: “Il mantello di Aesir”.
Conclusivamente Inheritance è un libro mediocre, forse lievemente superiore a Brisingr, ma certamente evitabile: io l’ho completato solamente per soddisfare la mia innata curiosità sul “come finirà” e perché l’edizione in mio possesso ricomprendeva tutti e quattro i romanzi assieme. Sicuramente non sarò tra i lettori del quinto volume che Paolini da anni minaccia di pubblicare.
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- no