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Con l'incanto di una fiaba
Ceony Twill è una giovane di talento che ha appena terminato gli studi in modo brillante; si trova purtroppo costretta ad accantonare i suoi sogni ed iniziare un apprendistato per intraprendere poi una carriere ben lontana da quella desiderata.
Ceony non è però una ragazza italiana dei giorni nostri, bensì un’abile maga in una Londra novecentesca alternativa in cui la magia non solo esiste ma è nota a tutti ed essere maghi è una professione -seppur esclusiva- come le altre, tanto che la protagonista l’ha scelta come alternativa al diventare una cuoca.
Nell’originale ambientazione si trova indubbiamente il maggior pregio di questo romanzo in cui la magia viene presentata in modo inedito: non più come qualcosa di oscuro e slegato dalla vita quotidiana, ma come elemento essenziale di questa, capace di evolversi di pari passo alla tecnologia (si parla per esempio di maghi che lavorano esclusivamente con la plastica) anziché opporsi ad essa come generalmente è percepito nell’immaginario comune.
Per quanto riguarda la trama invece l’originalità viene un po’ a mancare, ho individuato infatti un paio di similitudini con altre opere. La prima è “Papà Gambalunga” di Jean Webster, in cui ritroviamo una giovane di umili natali ma dotata di grande vocazione (in quel caso, per la scrittura) che viene aiutata economicamente da un misterioso benefattore del quale infine si innamorerà. Abbiamo poi “Il castello errante di Howl”, e mi riferisco al film di Hayao Miyazaki non al romanzo di Diana W. Jones; in una scena presente per l’appunto solo nel lungometraggio, la protagonista compie un viaggio nei ricordi passati del mago Howl che somiglia molto all’avventura nel cuore di Mg Thane intrapresa da Ceony.
Purtroppo la trama, oltre ad essere molto prevedibile, mi è sembrata anche troppo frettolosa nel rivelare al lettore le risposte ai pochi quesiti e misteri. Anche l’innamoramento della protagonista e l’inseguimento di Lira potevano essere descritti con più calma e magari con la presenza di ostacolo più ostici da superare; questa scelta ha però il merito di aver concentrato l’attenzione sull’analisi del passato e dei sentimenti di Thane e, in modo più delicato e quasi in ombra, di Ceony, che grazie ai momenti vissuti durante la missione di salvataggio trova il coraggio di dar voce anche ad alcuni aspetti più oscuri del suo animo.
Ne deriva che i due protagonisti appaiono interessanti e ben strutturati; lo stesso non si può dire per l’antagonista: tutto in Lira risulta a malapena abbozzato e il suo fine e le sue azioni non vengono mai chiarite, sebbene i prossimi volumi della trilogia potrebbero far luce a riguardo. Gli altri personaggi sono poco più che comparse, pronte a cedere il passo affinché il focus si concentri sui protagonisti.
Sullo stile dell’autrice preferisco non sbilanciarmi né in positivo né in negativo: è abbastanza semplice e scorrevole, per nulla pretenzioso, ma desidero leggere gli altri libri per controllare la presenza o meno di un miglioramento, di una maturazione soprattutto nella scelta delle sequenze a cui dare più spazio.
Nell’intero romanzo, la Holmberg inserisce poi un gran numero di dettagli, riferimenti e perfino giochi di parole collegati alla carta, al cuore ed alla precisione -qualità fondamentale per ogni piegatore che si rispetti-; ritengo sia stata una scelta molto azzeccata per coinvolgere ancor più il lettore in questo magico mondo dotata di un particolare fascino in grado di farci tornare per un attimo bambini.