Dettagli Recensione
Il licantropo atipico
Anne Rice, la regina dei vampiri, la fantastica ideatrice di " Intervista col vampiro" (1976), un cult della narrativa horror che ha ispirato centinaia di libri, torna con un nuovo romanzo e con un nuovo essere soprannaturale come protagonista: il licantropo.
Niente vampiri dunque, mi dispiace per i vampirofili come me.
Il protagonista è Reuben Golding, un ragazzo giovane, molto bello, molto ricco, molto intelligente che per un incidente tragico, in cui perde la vita una donna, molto bella, molto ricca, molto intelligente e, a quanto pare, molto disponibile (come tutte le donne di questo libro), eredita il Crisma, ovvero il dono del lupo. Da principio, Reuben, spaesato e spaventato, non capisce quello che gli stia succedendo, ma quando, notte dopo notte, si trasforma in una specie di satiro, alto un metro e ottanta, con i capelli lunghi, le zanne e la pelliccia dappertutto, capisce di essere cambiato.
Una serie di avvenimenti farà via via luce sulla sua natura e il fantasma di Felix Nideck, uomo avvolto nel mistero e che sembra fortemente legato al destino di Reuben, tornerà per fare chiarezza e per un regolamento di conti che sembra durare da millenni.
Nessuno sa della sua nuova vita, solo Jim, suo fratello, e Laura, misteriosa donna dai capelli d’argento incontrata nel bosco: Reuben, da lupo, può sentire l’odore del male e dell’innocenza, viene richiamato dalle voci e dalle urla della gente bisognosa di giustizia e vendetta e non può in nessun modo tirarsi indietro. Diventa una sorta di paladino della notte, mentre durante il giorno interroga se stesso su temi profondi e importanti, quali l’esistenza di Dio, il significato del bene e del male, della vita e della morte.
Due punti fondamentali lo diversificano dal classico licantropo: prima di tutto, la trasformazione non ha nulla a che fare con la luna piena e, in secondo luogo, non è dolorosa e straziante, come siamo abituati a pensare, ma viene accompagnata da ondate di piacere che liberano tutta la forza prorompente del dono.
Non è dunque un licantropo qualsiasi ma un Morphenkinder, un essere giusto e al di sopra delle parti, dotato di una coscienza e di un cervello perfettamente funzionante, anche durante la mutazione, che combatte contro l’odore del male, dell’egoismo e della cattiveria.
Tutta la storia sembra promettere bene, dunque perché l’ho votato in modo mediocre?
Il ritmo della narrazione coinvolge ma, a mio avviso, procede a singhiozzi, alternando parti più scorrevoli a pozzanghere in cui mi sono infangata e, a dirla tutta, annoiata; ho trovato le donne del romanzo, a parte la madre di Reuben, senza spessore, pronte a gettarsi nel letto di Reuben senza una plausibile giustificazione, un mero contorno, nonostante lo sforzo dell’autrice; il personaggio principale non mi ha affascinato per nulla: sì è bello, è ricco, è sveglio, ma non mi ha conquistata, anzi, al contrario, l’ho trovato poco profondo, superficiale, un tentativo non riuscito.
Questo non vuol dire che nel romanzo non si affrontino temi di una certa consistenza ma il modo in cui è stato fatto, in cui i pensieri e le idee dei personaggi sono stati incastrati nella trama, non mi ha convinta: credo che la battaglia tra la razionalità, la volontà di conservarsi umani e civili e la bestialità, l’istinto primordiale di cacciare, combattere, abbandonarsi alla propria natura sia stato mal elaborato e, in alcune parti, spiegato in modo troppo complicato e astruso.
Devo ammettere che mi aspettavo molto di più, probabilmente perché l’aspettativa era molto alta.
Ho apprezzato, tuttavia, l’originalità di alcuni elementi, come le caratteristiche intrinseche del dono di Reuben, diverse da quelle che associamo normalmente ad un licantropo, e il personaggio di Felix Nideck che mi è piaciuto molto, pur comparendo non tanto quanto avrei voluto.
Credo che Anne Rice abbia un dono: quello di scrivere ma, purtroppo per me, non di licantropi. Molto meglio le sue idee geniali sui vampiri, su personaggi indimenticabili come Lestat, Louis, Armand o Pandora. Reuben? Da dimenticare.