Dettagli Recensione
Claire, Einar, Gabe.
Al suo risveglio Claire era stata istintivamente colpita da una inaspettata sensazione di smarrimento a cui era seguito il dolore: al minimo tocco il ventre le doleva. L’unica cosa che ricordava era che “qualcosa era andato storto”, l’equipe medica era evidentemente preoccupata non tanto per lei quanto per il suo prodotto. La benda che le avevano posto sugli occhi le aveva impedito di constatare cosa le stesse accadendo sia durante che dopo l’aver appurato la complicazione. Tra tutte le altre “anfore” era l’unica ad aver avuto questa difficoltà e a ritrovarsi con una cicatrice sull’addome. Alla cerimonia dei dodici le era stato assegnato il ruolo della partoriente, ma nello specifico nessuno sapeva in cosa esso consistesse. Il tema delle nascite così come quello dell’esaltazione della bellezza erano dei tabù nella sua comunità. Dopo l’inseminazione le avevano spiegato che avrebbe provato al momento del parto un “leggero fastidio”, al termine di questo la sua vita sarebbe ripresa regolarmente fino alla seconda inseminazione e via dicendo fino al suo terzo e conclusivo ingravidamento. A quel punto sarebbe stata ricollocata e avrebbe iniziato un nuovo lavoro senza alcuna possibilità di richiedere uno sposo e figli in futuro. Ma l’imprevisto che l’aveva vista protagonista in sala operatoria non poteva passare inosservato ed infatti alla ingenua eroina era stata revocata la certificazione, la sua nuova collocazione era il vivaio ittico, luogo dove avrebbe prestato la sua manodopera e concluso la sua esistenza. Il suo prodotto? «Lui sta bene » le era stato riferito. Claire ha solo 14 anni.
Scanditi dalla solita routine i giorni trascorrevano monotoni al vivaio. Il desiderio di vedere il suo rampollo era sempre più forte nella neomamma e quando con piccoli sotterfugi essa riesce ad entrare al centro puericultura e lo vede sensazioni di calore, ritrovamento e poi di frustrazione e sofferenza prendono campo nel suo cuore. Desiderava poter passare del tempo con il suo piccolo, perché non le era permesso e soprattutto perché lei provava quelle sensazioni e per la prima volta si rendeva conto di quanto fino ad allora non avesse mai desiderato qualcosa in tutta la sua vita? Le pillole. Per un errore burocratico determinato dal caos creato dal suo parto cesareo (questa era la complicanza tanto odiata) ai vertici si erano dimenticati di prescriverle l’uso quotidiano delle pasticche e così mentre i suoi conoscenti erano assopiti dall’effetto del medicinale lei sentiva tutto: la solitudine, la frustrazione, la gioia del contatto con il suo discendente, le perplessità sul funzionamento delle regole della comunità, ogni minima emozione.
Con “Il figlio” la Lowry pone conclusione al ciclo dispotico iniziato con The Giver e riesce nel suo obiettivo con grande maestria e delicatezza. L’opera trasmette una sensazione di speranza, pagina dopo pagina il lettore si affeziona a Claire e ritrova Jonas, Gabe, Kira e tutti i personaggi che avevano scaldato il suo cuore nei precedenti capitoli. Il romanzo è mosso dal desiderio di andare avanti, di imparare da quel che è stato un tempo contaminato dal male così da riuscire a costruire un futuro diverso basato sul rispetto, sull’onestà, sull’aiuto reciproco, sul bene.
Nello specifico questo capitolo affronta il tema dell’amore materno e dell’amore umano. Claire quando partorisce suo figlio ha solo 14 anni, è a sua volta poco più di una bambina, non ha idea di cosa le sia capitato e non riesce a comprendere realmente la gravità della situazione che l’ha toccata. Non è mai stata preparata ad affrontare queste circostanze, si ritrova ad essere una madre e al tempo ad essere espropriata dal diritto di esserlo. E non riesce a convivere con il vuoto che ogni giorno l’attanaglia; il legame con il suo piccolo è troppo forte per poter essere falciato da una benda o dalla separazione alla nascita. Ed è sempre Claire ad essere protagonista di un altro amore, quello nutrito per la persona cara con cui si desidererebbe condividere ogni istante della propria vita. La giovane deve scegliere: restare con Einar o abbandonarlo per ritrovare suo figlio. Non può avere tutti e due. Il desiderio di trovare Gabe la porterà poi a rinunciare anche ad un altro dono, una sua intima caratteristica; dare per avere.
In ogni suo romanzo l’autrice ha trattato diversi temi ognuno diversamente simbolico dall’altro ed è questo ciò che rende le sue creazioni indissolubili e meritevoli di essere lette. Non è il classico romanzo dispotico, la sua portata è tale, il suo messaggio è cristallino al punto che in numerosi paesi i suoi scritti sono stati censurati. Ogni suo protagonista ha la forza di trasmettere emozioni diverse e di lasciare al lettore un punto di riflessione. Personalmente ho amato ogni personaggio in modo diverso, Jonas per la sua capacità riflessiva, Kira per l’umanità che trasmette nella sua diversità fisica, Matty per la sua crescita personale e per la sua bontà d’animo, Claire per la sua determinazione e per il suo amore incondizionato. E così come ho imparato dalle vicende delle personalità principali ho tratto riflessioni anche dalle secondarie quali il Thomas de “la rivincita” incapace di percepire la “prigionia ovattata” in cui era stato collocato in tenera età o Einar che per scappare dalla tirannia del padre ha affrontato la grande scalata per poi coraggiosamente rinunciare al suo obiettivo pur di non cedere alla materialità e rinunciare a sé stesso per tutta la vita. La conseguenza? E’ stato menomato e sempre dovrà convivere con questa la nuova difficoltà fisica ma ha avuto il coraggio di dire: -“no, io sono io e resto me stesso, non mi faccio comprare dalle futilità umane”-.
Strutturalmente parlando è il libro è diviso in tre parti; ognuna narrante diversi aspetti della vita di Claire e dei personaggi e stilisticamente mantiene la sua capacità narrativa. E’ ben diverso dai romanzi dispotici in circolazione negli ultimi tempi, ne consiglio la lettura a chi cerca un testo con una trama ben sviluppata e solida.