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Casini metafisici e non (!)
Dopo qualche lettura impegnativa, cosa c’è di meglio di un romanzo d’evasione? Con spirito leggero e assecondando il mio sentimentalismo, punto “Flirt” della Hamilton che la cover proclama “autrice di Harlequin e Skin Trade”!
Una rapida occhiata alla sinossi mi avverte che la storia non si lascia mancare niente: ci sono mannari, vampiri e zombie. La mia sensibilità sociologica è stimolata dall’idea di un affondo in una delle saghe che da Twilight in poi hanno conquistato parte dell’universo adolescenziale.
Poche pagine mi bastano per accertare che in realtà sto per finire in un guazzabuglio o, con altra immagine, in una matassa della quale per me è difficile trovare il bandolo. Perché la protagonista, Anita Blake, ha un profilo davvero interessante e composito…
Innanzitutto svolge un lavoro che farebbe la gioia di chi – burocrate, bancario o ragioniere – deve quotidianamente fare i conti con mansioni strutturate, ripetitive e poco prodighe di sorprese. Anita infatti lavora alla “Animators Inc.” in un business del tutto peculiare (a patto che non sia farlocco!). A lei si rivolge Mr Bennington e l’incarico promette faville: “Ho bisogno di lei perché le spoglie di mia moglie non sono integre.” Bypassando qualche dettaglio procedurale di nessun conto (“Cosa si aspetta di ottenere risvegliandola? Sua moglie sarebbe uno zombie…”) e affascinato dalla velleitaria prospettiva di – un giorno, chissamai - cambiar lavoro, m’imbatto in un distinguo tanto sottile quanto alambiccato: “Io risveglio zombie, non resuscito i morti!”
Intanto la trattativa tra committente e Anita procede non priva di difficoltà (“Non è forse abbastanza potente per superare ogni ostacolo e risvegliarla come vampira?”), però la “risvegliante” (!) applica rigorosamente la deontologia (“Nonostante questo la putrefazione inizierebbe dopo pochi giorni”) e non disdegna l’estetica (“Era decisamente troppo raccapricciante”). Il tira e molla per l’incarico comincia a farsi estenuante, quando con stupore vengo a conoscenza di un dettaglio sentimentale che riguarda il compagno di Anita (“Jean-Claude apparteneva alla stirpe di Belle Morte, che si nutriva di amore e di lussuria oltre che di sangue”). Cerco allora di partecipare al travaglio esistenziale della nostra eroina (“Non ero ancora riuscita ad accettare il casino metafisico in cui la mia vita si era trasformata”), ma rimango frastornato nel vederla praticare amicizie promiscue a dir poco sorprendenti: Nathaniel, leopardo mannaro dagli occhi lilla (come Liz Taylor dunque?), Jason, vero e proprio lupo mannaro per la gioia di chi tra noi è maggiormente attaccato alle tradizioni (per inciso, entrambi sono ballerini al Guilty Pleasure ove si fregiano di pseudonimi: Brandon e Ripley) e Micah, anche lui leopardo mannaro.
Mentre sono prostrato dai dubbi (tipo: ma la “Coalizione per una Migliore Convivenza tra Licantropi e Umani” sarà una onlus?) e non riesco ad attribuire significato a parole fascinose come “vampiro master, nimir raj e marshal”, ecco che il mio schematismo e la mia rigidità culturale subiscono un contraccolpo violento quando sento Anita proclamare: voglio “precisare con pignoleria che amavo Micah e Nathaniel, mentre Jason era un amico. Molta gente si confondeva quando scopriva che facevo sesso con tutti e tre…” Con il rimorso di essere – io stesso – incappato in questo esecrabile pregiudizio, tra narrazioni plastiche (“Quando Nathaniel mi abbracciò da dietro e mi baciò sulla testa, mi trovai stretta tra i due amanti”) e diagnosi statisticamente probabili (“Gli esami del sangue avevano dimostrato che ero portatrice sana di alcune forme di licantropia”), con qualche perplessità seguo lo spostamento della scena in un bar ove la nostra pensa bene di “flirtare in maniera oltraggiosa” con Ashan il cameriere.
Quando poi compaiono Jacob, Nicky e Silas - tre leoni mannari! – e con uno la frizzante Anita si accoppia tra ruggiti e unghiate, il mio orizzonte limitatissimo si dischiude in una nuova forma di conoscenza: così apprendo che Anita ha molte bestie dentro di lei (perfino una leonessa!) e questo rende ragione del suo desiderio di combinarsi con ogni declinazione di animale mannaro. Nonostante frasi generiche su una tendenza a questo punto legittimata (“La mia stessa vita si fondava interamente sulla condivisione”), in me ormai si è insinuato il germe del dubbio: possibile che il casino sia soltanto metafisico?
Il dramma però si complica ulteriormente (“Ognuno dei tuoi tre amanti è sotto il tiro di un cecchino”): entrano in ballo la strega Ellen e il cliente rifiutato (“Dunque Bennington sapeva che lei era una scopapelosi”) e l’azione si trasferisce… in un cimitero! Dopo una parentesi più involontariamente comica che macabra, tutto è bene quel che finisce bene e il classico “vissero felici e contenti” si trasforma in un commovente siparietto: “Con tutti i miei uomini intorno a me, ammucchiati come una calda cucciolata, non potevo essere infelice”.
Non pago di aver concluso la meritata lettura di evasione, mi lascio deliziare dalla postfazione ove la Hamilton (ma chi è questa Carneade?) confessa una primizia biografica: da piccola voleva diventare biologa! Naturalmente mi chiedo se – in veste di biologa - avrebbe potuto compiere gli stessi danni che oggi arreca in qualità di scrittrice. Non trovo la risposta, ma vedrò di farmene una ragione…
Bruno Elpis
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Commenti
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Ciao carissima :-)
E non dirmi lettura di evasione ...
Io lo sapevo che la pesca tagliata a meta' di destabilizzava...
:-))))
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