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Questione di pesi e cinture
Per metà Signore degli anelli e per metà Pirati dei caraibi, il romanzo d’esordio di Scott Lynch sembrerebbe contenere tutti gli elementi, le situazioni, e i personaggi di uno tra i più banali fantasy in circolazione; limitandosi al riassunto della trama in ultima di copertina verrebbe da pensare infatti che non sia altro che la summa di tutti i luoghi comuni, usati, abusati e vergognosamente sfruttati da quegli scrittori da quattro soldi che, adeguandosi alle richieste del mercato, cavalcano fino allo sfinimento il reddivivo filone letterario che vede in Tolkien (e oggi giorno forse solo in George R. R. Martin) i più illustri e autorevoli esempi.
Verrebbe da pensare così... ma si rischierebbe di prendere una grossa cantonata.
Gli Inganni di Locke Lamora, è sì uno stereotipo di tutta la narrativa filo-fantasy/filo-banale in voga di questi tempi, ma a suo modo ne è anche un archetipo, un archetipo post - litteram: le vicende, le ambientazioni, i personaggi, sono tutti già noti, eppure ciònonostante hanno un qualcosa che li distingue dal resto della letteratura precedente, che pur nella loro ovvietà li rende originali, unici, appunto archetipici di un genere che, malgrado abbia detto tutto quel che aveva da dire ormai da diversi anni, in alcune piccole nicchie letterarie, in alcuni casi isolati, come questo di Scott Lynch, riesce ancora a risplendere e dare il meglio di sé.
E’ un fenomeno particolare, quello de “Gli Inganni”, difficile da spiegare, forse legato alla scorrevolezza dello stile dell’autore (anche se in realtà non ha nulla di più e nulla di meno di quello di molti altri scrittori a lui simili), forse legato alla dinamicità della trama (anche se basta prendere in mano un Clancy o un Crichton per trovare storie altrettanto dinamiche), o alla variopinta e accattivante atmosfera in cui si dipana il racconto (anche se basta rileggersi una pagina di Tolkien per ritrovarla, e molto più amplificata per giunta), o alla appena sviluppata e ciò non di meno esaustiva psicologia dei personaggi (anche se Ken Follett, e come lui molti altri, ne aveva già fatto parte integrante del suo stile ancora prima che Lynch imparasse a leggere e a scrivere), forse è un fenomeno legato a questo, o forse a qualcos’altro ancora, qualcosa di non ben ponderabile, come il perfetto equilibrio tra gli elementi sopra accennati, o addirittura, semplicemente, il caso, la fortuna; ma questo, questo fenomeno, questo effetto, fa de "Gli Inganni" un libro che sorprendentemente intrattiene, inaspettatamente diverte e, a costo di essere orrendamente banali, tiene con il fiato sospeso fino all’ultima riga.
Sì, probabilmente a pensarci bene, è tutto merito dell’equilibrio: Gli Inganni di Locke Lamora è un libro ben bilanciato in ogni suo aspetto, in ogni sua parte, e poco importa se queste parti sono inevitabili scopiazzature di altri più illustri pagine di letteratura, poco importa se rimandano a lavori più celebri di scrittori ben più autorevoli, in fondo, come direbbe un esperto di musica, le note sono sette e per forza prima o poi si devono ripetere, e non importa se la ripetizione è palese o ben mimetizzata, poiché se si riesce a farle suonare bene assieme ciò che si ottiene è comunque un’ottima melodia.
Certo più di una volta sfogliando il libro viene da sorridere ripensando agli elaborati intrecci e alla solida ossatura dell’opera di Tolkien o all’occhio visionario di Orwell o ancora, per estendere il discorso alla letteratura in generale, all’introspezione dostoevskijana, o alla concreta solidità che rende le opinioni di Hemingway degli assoluti letterari, ma sarebbe del tutto inappropriato, sia a livello logico che a livello istintivo, acconsentire alla formulazione di tali paragoni. Si tratta di romanzi diversi, con obbiettivi diversi, scritti in tempi diversi.
Tolkien, Orwell, Hemingway... e Scott Lynch, d'accordo assurdo, ridicolo persino! Ma chi farebbe combattere il campione dei pesi massimi con quello dei piuma? Sarebbe un massacro, sarebbe ripugnante, sarebbe da irresponsabili, e allora uno è più bravo dell'altro? No, al contrario entrambi, nella loro categoria, nel loro ambito, sono parimenti meritevoli, entrambi, nel loro "enviroment" sono egualmente validi e valorosi.
Verrebbe da chiedersi allora a che ambito appartiene Lynch, ma questo è a discrezione del singolo lettore e di quanto egli sia disposto concedere al gusto e alle emozioni a scapito dell'obiettività.
Ad ogni lettore dunque, al "suo personalissimo cartellino”, il compito d'attribuire il ruolo che a Scott Lynch compete nella storia della letteratura, però attenzione, ribadisco: i pesi sono diversi, la forza è differente, differente dunque è anche l’interesse suscitato, ma se nella propria categoria uno conquista la cintura allora quell' uno è un campione tanto quanto quell’altro che per natura e destino ha maggiori possibilità, se nel settore che gli compete uno da il meglio di se allora quell'uno è degno di lode esattamente come lo è colui che per educazione, ambiente e forse epoca è naturalmente più portato ad eccellere; e se poi quell'uno è addirittura uno scrittore appena trent’enne che riesce a spiccare così tanto tra i suoi innumerevoli e banali simili tanto da vendere i diritti cinematografici della sua opera a una major hollywoodiana, allora quell'uno va preso in considerazione quanto e come i grandi di ogni tempo, nonostante sia opinione comune e giustamente consolidata che questi ultimi fossero di tutt’altra risma e calibro, poiché se oggi giorno questi pilastri della letteratura sono noti a chiunque è bene ricordare che un tempo anche loro non sono stati altro che degli esordienti semi sconosciuti, anche loro se la sono dovuta vedere con le più ingombranti celebrità della loro epoca, anche loro sono stati degli Scott Lynch qualunque.
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