Dettagli Recensione
Non è un fantasy per anime sensibili
Dimenticate la Compagnia dell’Anello, dimenticate le epopee con eroi ventenni vincenti e sfrontati, dimenticate le guerriere indomabili di cui tutti si innamorano, dimenticate la lotta del bene contro il male, perché questo libro sovverte tutti gli schemi del fantasy classico.
Sono passati nove anni dalla battaglia epica: i tre compagni di spada nel frattempo sono invecchiati, e hanno perso le illusioni di un tempo.
Ringil, il fu eroe di Gallows Gap, sopravvive grazie al ricordo di ciò che è stato, vendendo storie ai viaggiatori, con la sua terribile spada Amica dei Corvi appesa al camino della locanda. E’ fuggito al nord, via dai fasti e della fama: anche se di origini nobili, è tollerato a mala pena dalla sua stessa famiglia, perché si ostina a preferire i maschi come compagni di letto. Anche Egar, già Rovina del Drago, conduce una vita grama: ha accettato, suo malgrado, di diventare capo del clan paterno di nomadi delle steppe, ma il suo cuore è rimasto là, sul campo di battaglia; Lady Archeth, infine, l’ultima discendente del Popolo Nero, non se la passa meglio, costretta a servire un imperatore dispotico, destreggiandosi in una corte che è un covo di serpi corrotte, di sacerdoti fanatici e di schiave dalle carni bianche.
Il destino beffardo li riunirà di nuovo, perché Ringil, pur essendo un reietto, è l’unico che può rintracciare una giovane cugina, venduta per debiti e abbandonata da tutti.
Tuttavia, per Morgan, non sempre la sorte aiuta gli audaci. E, a volte, i peccati e i fantasmi del passato sono così opprimenti, da non meritare redenzione.
Atmosfere cupe e dolenti, e tuttavia bellissime. C’è un sole che muore tra nuvole a brandelli, che hanno il colore dei lividi, e ogni sera dolorosa si porta via qualcosa.
Alcune descrizioni mi hanno ricordato i paesaggi del ciclo di Dune di Frank Herbert e i romanzi di Paul Anderson (non a caso è sua la citazione iniziale del libro). Stile a volte secco, a volte vivido come la pittura di un affresco. Una volta superata l’ambientazione dei primi capitoli, la lettura ti travolge e ti rapisce, tanto che in certi momenti ti sembra quasi di sentire la bocca impastata di polvere, e il puzzo di sudore del cavallo.
Qualcuno ha già definito The Steel remains crudo; io direi crudele, una crudeltà che striscia, fino a un finale superbo e maledetto.
Davvero non è un fantasy per anime sensibili, però lo consiglio di cuore.
L’autore tira dritto, senza concedere nulla. Non ci sono buoni, non ci sono cattivi. Solo creature varie, con tutte le loro debolezze e le loro meschinità. Se si deve morire, si muore nel sangue, e non ci sono amici, e non ci sono vecchie alleanze, e non ci sono vecchi amanti che possano fermare la spada: perché, come dice Ringil, caustico e terribile, “Anch’io ho conosciuto la Bellezza, ma è una cosa che non mi ha mai fermato”.
Commenti
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ME LO SEGNO!
bella rece!
Preparo lo scanno, luce soffusa, vino speziato ... vediamo se finalmente verrò travolto da questo nuovo libro fantasy !
Complmenti bella recensione !
Per citare Troisi in "Non ci resta che piangere"...mo' me lo segno!!
Una curiosità: è vero che la traduzione è fatta con i piedi?
Se lo leggerai, buona lettura.
A dirla tutto, ho trovato orribile il titolo italiano, rispetto al ben più evocativo titolo inglese...
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@Piero: qualcosa per te?? se non l'hai già letto!! :)