Dettagli Recensione
Eymerich ritorna
‘Rex tremendae maiestatis’ è una conclusione in particolar modo azzeccata e rotonda al dilà del mero fatto numerico di costituire il decimo e (non più) ultimo volume della saga di Nicolas Eymerich. Era… Perché a sorpresa l’inquisitore catalano sale di nuovo sulla scena in questa nuova avventura e, visti gli sviluppi della/e vicenda/e, con l’opportunità di viaggiare avanti e indietro nel tempo, potrebbe essere ritornato per restare: per i vecchi lettori è un piacere, disturbato solo dal rischio di una certa ripetitività, mentre i nuovi arrivati si possono godere un validissimo racconto di genere che può servire come ingresso per il mondo del coriaceo domenicano. Il religioso viene strappato dai suoi studi per mettersi sulle tracce di Francesc Roma, consigliere di Pietro d’Aragona che sfoggia la capacità di trovarsi in più di un luogo nello stesso momento, di assumere diversi aspetti nonché di scatenare incendi nei posti in cui sosta. Radunata la sua squadra – il Sancho Panza fra’ Jacinto Corona, il notaio Berjavel e il boia mastro Gombau – il nostro parte da Avignone per una lunga missione che prende le mosse dalla Provenza e sconfina in Piemonte seguendo la pista dell’evanescente Roma: dagli indizi che dissemina, costui pare infatti intenzionato a fomentare una rivolta contro la Chiesa basata sulle tendenze pauperistiche chiamando a sè terziari francescani, rimasugli catari e i valdesi rifugiatisi sulle montagne. Il piano è un po’ confuso ed è il punto debole dell’opera infiacchendone lo svolgimento nel finale dopo una serrata prima metà; la narrazione ha però un secondo fulcro riguardante la possibilità della reincarnazione, ipotizzata dalle teorie del professor Frullifer nel distopico futuro terrorizzato dalla Rache e realizzata dalle parti della Luna, conservatorio di anime, narrata dal suo Vangelo in cui il Magister e Lilith discutono di scienza e teologia. La triangolazione dà ritmo al racconto - che negli episodi medioevali tende a volte a replicare le situazioni - spingendo a voltare le pagine: il romanzo risulta così in ogni caso coinvolgente seppur si ponga lontano dai migliori volumi della serie. Eymerich è, come nella puntata precedente, in là con gli anni e sofferente per gli acciacchi dell’età alla stregua di un Montalbano qualsiasi: è ancora in grado di riconoscere un eretico a colpo d’occhio, ma non è più il fustigatore capace di bruciare una città per sradicarne il Maligno (lui lo scriverebbe sempre con la maiuscola). Ne beneficiano i montanari valdesi che incontra, peraltro vessati dal feroce ‘collega’ Borrell, sadico inquisitore francescano al cui confronto Nicolas è un uomo mite. Le figure di contorno sono sovente le più interessanti, dai vecchi e inquietanti frati degli sperduti conventi montani ai due potenti posti agli estremi di uno spettro, ovvero il ‘duro ma corretto’ Raymond de Turenne (arroccato a Les Baux de Provence) e il pernicioso Sforza; la caratterizzazione migliore è però quella dei cagots, sorta di paria (Untermenschen, direbbero alla Rache) dimenticati dalla storia e, probabilmente, anche dai loro discendenti.