Dettagli Recensione
Prosegue male
Speravo che il secondo episodio di questa saga risollevasse un po’ le sorti della storia, ma sono rimasta delusa. Già nel primo romanzo avevo individuato una lunga serie di difettucci intervallati da qualche raro e interessante barlume di genialità ma devo ammettere che la situazione non è cambiata di una virgola nemmeno nel secondo.
Partiamo, di nuovo, dalla protagonista Talitha, la giovane Talarita che rinnega le sue origini e si schiera al fianco degli schiavi liberati, i Femtiti. Pare sempre più una copia sputata di Nihal, protagonista delle Cronache del Mondo Emerso, con qualche sostanziale differenza: è sciocca, superficiale e immatura. Condivide con Nihal l’amore per la spada e la battaglia, ostentato al punto che in diversi momenti mi sono ritrovata a chiedermi se per caso la Troisi non ci stesse narrando la storia dal punto di vista del cattivo. Talitha è assetata di sangue e violenza, la adora, non vede l’ora di combattere e uccidere tutti i Talariti che incrocia sul suo cammino e questo è un atteggiamento che ho trovato agghiacciante. Certo, qualcosa di simile era già stato proposto in Nihal, ma mai portato a simili livelli e non credo che possa essere giustificato con la semplice rabbia che Talitha prova nei confronti dei suoi simili, massacratori di schiavi.
La giovane affianca i ribelli nella loro lotta, ma nel proclamare i suoi ideali si contraddice spesso e volentieri. Verso la fine del romanzo afferma che la sua battaglia è sempre stata per l’uguaglianza tra Femtiti e Talariti, invece per tutta la durata di esso la giovane non fa che eseguire ciecamente gli ordini dei capi ribelli, massacrando a sangue freddo soldati e civili Talariti. E non basta l’aver provato pietà nei confronti di una ragazzina per scusarla e stabilire che in fondo i suoi principi sono nobili, perché non lo sono.
Talitha è una giovane intollerante, che vede nella morte degli altri l’unica via per vendicare le sue blande sofferenze. Persino il ricordo dei mesi passati al monastero, la morte della sorella e le sue ultime scoperte sui soli la portano ad un odio cieco nei confronti dell’intera casta sacerdotale e di conseguenza a ritenere giusto il loro massacro. Sorvolando sul fatto che il tempo passato al monastero sicuramente è stato vessante, ma non così orribile come la ragazza ricorda (la cosa peggiore che le poteva capitare era recitare noiose preghiere e leggere da un libro mentre le altre cenavano), può essere giusto che abbia in antipatia i sacerdoti per essere un ceto chiuso alle novità, che divide rigidamente la società in maniera iniqua e che forse, forse, ha causato la morte di sua sorella (e che invece potrebbe essere avvenuta naturalmente, dato che pare che la sua malattia fosse comune tra le oranti), ma tutto questo è sufficiente a classificare l’intera casta come “male”? Talitha è ben contenta di aggredire un luogo quasi totalmente indifeso e ci viene fatto credere che lei in fondo sia buona solo perché, alla fine, tenta di difendere i pochi prigionieri sopravvissuti dalla condanna a morte.
Un bel gesto, ma è uno in un mare di odio e morte, che, ricordo, domina la Talarita senza un briciolo di rimorso o di esitazione.
Altro problema è appunto la sua gestione dei sentimenti: si innamora e dimentica l’amore nel giro di tre mesi, il ricordo della sorella è completamente spento, nessun riscontro psicologico in seguito alle morti provocate.
Passando al secondo protagonista della storia, Saiph, ammetto che il suo personaggio mi è risultato più gradevole in questo secondo episodio. Almeno lui è bene in grado di distinguere il bianco dal nero e decide di proseguire la ricerca per salvare Talaria, non di invischiarsi in un mare di sangue. Sicuramente Saiph è più maturo, ragionevole e responsabile di Talitha, ma ancora non riesce a svicolarsi dalla personalità della padrona. Nonostante tutto quello che ha passato, rimane sempre il suo schiavo e pensa a lei con la devozione di un cane fedele, non con il rispetto e anche l’affetto di una persona coinvolta in una relazione alla pari. Dal canto suo, Talitha continua a trattarlo come un animale da compagnia e non riesco a leggere in lei nemmeno una briciola del decantato affetto che prova per lui.
Per quanto riguarda il resto della storia proseguono i pesanti parallelismi con le Cronache e le Guerre del Mondo Emerso. Ce ne sono davvero tanti e la storia, nonostante abbia degli spunti originali, ricalca sempre quegli schemi e sembra una scopiazzatura. Per fare alcuni esempi: abbiamo Talitha che è l’ombra di Nihal (come lei segue la strada della spada, porta i capelli corti, non vede l’amore che l’amico di una vita ha per lei e lo snobba, si innamora di un uomo più grande che la rifiuta, sfoga il suo odio nel sangue), Saiph è l’ombra di Sennar (pacato, più incline allo studio che alla guerra, innamorato devotamente dell’amica di sempre e da lei rifiutato, si avventura in un viaggio solitario in seguito ad un litigio con lei), Verba ricorda Sennar vecchio nelle Guerre del Mondo emerso (amareggiato, sconfitto, ha perso la fiducia nel genere umano e non ha alcun interesse a salvarlo), Grele somiglia molto all’assassina Rekla nelle Guerre (odia la protagonista, è stata umiliata da lei e vuole rifarsi sulla sua pelle, è una combattente, un’assassina ed è disprezzata dalla famiglia di origine), Megassa, il padre di Talitha, è la copia di Dohor, il padre di Learco (ambizioso, spietato, disinteressato al bene dei figli che usa come strumenti per consolidare il proprio potere, violento con la moglie e pronto ad uccidere per il comando).
Questi sono tutti i parallelismi che mi sono venuti in mente e sono già tanti così.
Altri problemucci sono alcuni punti poco realistici: un drago e un uomo che sopravvivono una settimana nel deserto razionando semplicemente l’acqua che l’uomo aveva portato con sé (non mi intendo di draghi, ma se un cavallo beve dai 15 ai 20 litri al giorno credo che il drago faccia almeno altrettanto, no?), Talitha che a inizio romanzo si accorge di avere una ricrescita rossa sotto la tinta verde e che nessuno alle miniere ha notato, le infinite volte che Saiph sfiora la morte, riprende i sensi e torna a vivere come se niente fosse.
In tutta questa negatività permangono dei buoni spunti, ma rimangono, appunto, spunti. Sarebbe stato interessante sapere di più sulla religione di Talaria, sempre accennata e mai spiegata nel dettaglio, dare una posizione più centrale alla catastrofe naturale e vedere Saiph nei panni del simbolo della ribellione. Per questi posso ancora sperare nel libro terzo, per tutto il resto comincio ad essere scettica.