Il racconto dell'ancella Il racconto dell'ancella

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Martina248 Opinione inserita da Martina248    29 Marzo, 2022
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Abituarsi all'abitudine

Poco sappiamo della protagonista di questo libro; neanche il titolo allude al suo essere ma solo al suo ruolo: ancella.
Il nome narra un destino e quello che il regime di Gilead assegna alle sue ancelle racconta l’unica sorte possibile per una donna fertile che vive a Gilead: l’appartenza ad un uomo. Ogni donna è spogliata del suo essere per divenire puro accessorio, mezzo dei potenti per perpetuare la loro specie: June viene ridotta a Of-Fred.
Il regime nasce dalle migliori intenzioni: far rifiorire un mondo oppresso da disastri ambientali, tornare a scorgere una crescita nella natalità, portare ordine in una contemporaneità dominata dal caos. Eppure, viene da chiedersi a scapito di chi tali piani si perseguano, quando anche gli stessi uomini, a capo del sistema, ne sono schiavi a loro volta. Una società che riduce la donna a oggetto, che le toglie ogni valore se non la riproduzione, nega al contempo l'umanità dell’uomo. Perché umanità è nella relazione e neanche Fred ha più diritto al dialogo che elemosina alla sua ancella.
Atwood sceglie uno stile lineare e, al tempo stesso, narrativamente ben pensato. Il salto schizofrenico tra passato e presente, il racconto frammentario di Of-Fred ben rendono lo smarrimento della protagonista.
Restano molti dubbi al lettore: come è avvenuto il passaggio dall’antico mondo a Gilead? Cosa avviene una volta che le ancella saranno ormai anziane e non più fertili? Esiste una possibilità di sovvertimento dell’ordine? Sono risposte che il lettore non ha perché neanche il suo narratore può darvi risposta. Anche noi entriamo a far parte di Gilead e della sua manipolazione.
June ci offre, però uno scenario: ciò che rende la distopia realtà è l’abituarsi all’abitudine, il lasciar scorrere senza alzare lo sguardo.
Quel che, invece, alimenta la vita, nel regno della distopia, è solo una flebile speranza in parole non totalmente comprese, a cui ci si aggrappa, quando tutto pare perduto: Nolite te bastardes carborundorum.

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    28 Aprile, 2020
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Difred, una delle voci.

«È un avvenimento, una piccola sfida alle regole, così piccola da non poter essere scoperta, ma questi attimi sono le ricompense che mi offro, come le caramelle che, da bambina, accumulavo in fondo a un cassetto. Questi attimi sono possibilità, spiragli.»

Classe 1985, “Il racconto dell’Ancella”, anche a distanza di trentacinque anni, resta uno dei libri d’attualità più rinomati per quanto concerne la tematica del ruolo della donna nella società. Lo scenario che viene delineato è quello di un mondo (Stati Uniti) in cui una crisi ambientale e sociale hanno completamente ribaltato il sistema tanto da consentire l’instaurazione di un regime totalitario all’interno del quale alla figura femminile è destituito il ruolo di custode della famiglia e di mero oggetto. Non ha più alcun diritto fondamentale, ha perso la sua libertà, ha perso la sua identità, è un mero strumento che deve soddisfare il bisogno maschile e assicurare la procreazione. Le donne sono le custodi della famiglia, coloro che devono limitarsi alle faccende domestiche, non pensare, rinunciare all’intelletto. Sono Ancelle e per questo devono garantire la discendenza del futuro. Non sono persone, sono mezzi. Se non sono pertanto funzionali ai loro compiti perché sterili, omosessuali, vecchie, frigide, restie ad eseguire gli ordini, inette, la loro destinazione inevitabile è quella ai lavori forzati, alla morte. Perché non hanno scopo, non hanno ragione di esistere.

«Mi rimetto gli abiti, dietro il paravento. Le mani mi tremano. Perché sono così spaventata? Non ho violato i confini, non ho ceduto alla tentazione, non ho corso rischi, tutto è salvo. È la possibilità di scelta che mi terrorizza. La possibilità di una via d’uscita, della salvezza.»

Difred è l’ancella alla quale è incaricata la narrazione attraverso frammenti, pensieri, ricordi che si susseguono in un ordine disordinato e sbrandellato che mira a ricostruire quel passato fatto di una realtà che ha concesso l’instaurazione di un regime inquietante e crudele, famelico. Di cosa sono proprietarie queste donne? Di niente. Soltanto un nome resta di loro proprietà, nulla più.

«Mi dico che non è importante, un nome è come un numero di telefono, utile solo per altri; ma mi sbaglio, è importante. Tengo la coscienza di questo nome come qualcosa di nascosto, un tesoro che tornerò a scavare un giorno. È un nome sepolto, circondato di mistero come un amuleto, un amuleto sopravvissuto a un passato incredibilmente distante. La notte sto sdraiata sul letto, con gli occhi chiusi, e il mio nome è lì, sospeso dietro gli occhi, non del tutto a portata di mano, che brilla nel buio.»

Ma, ci invita a domandarci la Atwood, come siamo arrivati a ciò? Siamo arrivati a questa conseguenza nefasta perché l’umanità ha smesso di dare valore e significato ai sentimenti, ai principi, agli ideali. Il genere umano ha perso la voglia di dedicarsi ad ogni impegno, di responsabilizzarsi, di muoversi per raggiungere obiettivi perché a regnare sovrano è il disinteresse generale. Ci racconta, ancora, il Comandante Fred, di come una soluzione proposta e apparentemente risolutiva possa in realtà mutare completamente il mondo conosciuto. Capovolgerlo totalmente, renderlo un luogo per effetto paradossale sconosciuto e ignoto.
Ad accompagnare le vicende uno stile fluido, preciso, chiaro che si contrappone ad una narrazione un po’ troppo frammentata che lascia molteplici domande irrisolte nel testo e che al contempo non consente al lettore di farsi completamente rapire. L’effetto finale di questo stile asciutto, asettico, crudo, tagliante in cui nulla viene risparmiato e niente viene celato è quello di delineare un quadro perfettamente conforme alle intenzioni della scrittrice, un quadro all’interno del quale viene sacrificata completamente l’emozione, l’empatia. La lama affilata trafigge il conoscitore proprio per questa assenza di anfratto emotivo.

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lapis Opinione inserita da lapis    12 Marzo, 2020
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“Meglio non significa mai il meglio per tutti”

Riedito a seguito del successo dell’omonima serie televisiva, questo romanzo del 1985 ha goduto negli ultimi anni di una nuova ventata di popolarità, determinata principalmente dall’attualità dei temi trattati, che si innestano nel dibattito sempre acceso sul ruolo della donna nella società. Margaret Atwood ha immaginato infatti che gli Stati Uniti, in risposta a una crisi ambientale e sociale, siano divenuti un regime totalitario in cui le donne sono state private dei diritti fondamentali, della libertà, della loro stessa identità, e ridotte a mero oggetto, esistenti solo per soddisfare un bisogno maschile. Mogli, per custodire la famiglia. Marte, per le faccende domestiche. Ancelle, per garantire una discendenza. Nondonne, le altre - ribelli, sterili, omosessuali -, destinate ai lavori forzati e alla morte.

La narrazione è affidata all’ancella Difred. È attraverso frammenti dei suoi pensieri e dei suoi ricordi, che si rincorrono disordinati tra le pagine, che possiamo comporre una storia. Il passato di una società stanca e annoiata. L’improvviso instaurarsi di un regime inquietante e crudele. Il presente di una donna a cui non è rimasto davvero niente, nemmeno un nome, solo un proprietario: Di-Fred.

“Mi dico che non è importante, un nome è come un numero di telefono, utile solo per gli altri; ma mi sbaglio, è importante. Tengo la coscienza di questo nome come qualcosa di nascosto, un tesoro che tornerò a scavare un giorno”.

Come si è arrivati a tanto? Ce lo dice proprio il Comandante Fred: la gente non dava più valore ai sentimenti, non aveva più ideali, non aveva più voglia di impegnarsi. Sta proprio qui, forse, il germe più spaventoso di questa invenzione: l’idea che in un contesto di generale disinteresse sia così facile credere a chi propone una soluzione, chiudere gli occhi sulle disuguaglianze, accettare il male come parte di un nuovo ordine. E ritrovarsi all’improvviso in un mondo capovolto.

“Noi abbiamo pensato di poter fare meglio.
Meglio?
Meglio non significa mai il meglio per tutti”.

La scrittura della Atwood è di grande pregio, chiara, fluida, potente, e il testo offre indubbiamente molti spunti di discussione. Ciononostante, mentirei nel dire di esserne rimasta completamente conquistata. La narrazione soffre a mio avviso una certa frammentarietà che ne condiziona in parte la comprensione. Molte sono infatti le domande destinate a rimanere senza risposta, circa i meccanismi che governano il regime, il suo instaurarsi, nonché la storia personale della protagonista. Allo stesso tempo, la scelta stilistica di un tono tagliente e asciutto, in cui risuona l’asetticità di un mondo dove non sono più ammessi sentimenti, non giova in termini di coinvolgimento. Per gusto personale, avrei probabilmente apprezzato un po’ di trama, e di emozione, in più.

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Viola03 Opinione inserita da Viola03    10 Agosto, 2018
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DI ROSSO VESTITE

Le alette della cuffia la tengono riparata da sguardi indiscreti mentre cammina per le strade ben avvolta nel suo abito rosso, colore scelto per lei dalla comunità, che la rende visibile, che la identifica, che la lega ben stretta al ruolo che svolge. Lei è una ancella.
Siamo nel futuro e veniamo pian piano portati dalla voce narrante della protagonista in un mondo che non è più quello che conosciamo, che lei conosceva.
Silenziosamente, mattone dopo mattone, mossa dopo mossa, un nuovo governo ha preso il potere, soppiantando non solo gli avversari politici, ma smantellando minuziosamente la vecchia società, cultura, abitudini, cancellando i diritti delle donne.
Se all’inizio sono piccole avvisaglie, come l’impossibilità di acquistare le sigarette perché come donna non si possono possedere soldi, poi la nuova realtà si palesa: si perde il lavoro, si viene relegate in casa.
Infine, senza quasi neanche rendersi conto del come e del perché, le donne diventano Ancelle, Mogli, Nondonne. Strumenti nelle mani degli uomini, private di un’identità.
Si perde il proprio nome.
Si diventa DIFRED, di proprietà di Fred.
A raccontarci questa storia è proprio la voce di DIFRED, che ci narra le lunghe giornate noiose prive di occupazioni, i pensieri che si rarefanno, le piccole evasioni per una commissione o un fugace sguardo al cielo azzurro.
DIFRED, che giorno dopo giorno, nonostante tutto si è abituata, che come tutte cerca solo di sopravvivere in un mondo in cui le regole sono state stravolte.
Ed è di pari passo con il fluire dei ricordi, che percepiamo che sotto quella maschera di apatia, c’è ancora vivo un fuoco di ribellione, di vita, di libertà.
Ed è proprio la libertà uno dei punti chiavi su cui siamo costretti a riflettere.
Essere liberi DI qualunque gesto, abbigliamento, atteggiamento, essere liberi DI vivere senza inibizioni, senza freni è inesorabilmente la strada verso un epilogo repressivo?
Essere libere DAlla paura di aggressioni, dai commenti indiscreti di uomo, da molestie pur vedendo sacrificata la propria identità, il proprio diritto all’espressione potrebbero essere mai veramente considerate libertà?
Perché quelle ali della cuffietta che proteggono così bene da sguardi indesiderati, che nascondono dai giudizi, allo stesso modo impediscono di osservare il mondo, di alzare gli occhi per ammirare l’azzurro del cielo.
“Il racconto dell’ancella” è un libro ricco di emozioni ma è soprattutto colmo di spunti che fanno fermare a riflettere, perché, seppur ambientato in un futuro immaginario e scritto a metà anni Ottanta, è assolutamente attuale.

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martaquick Opinione inserita da martaquick    27 Mag, 2018
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NONDONNE, ANCELLE E MOGLI

Una droga. Per me Margaret Atwood è una droga.
Ormai la segui da anni e questo è il suo quinto romanzo che leggo. È una signora autrice geniale, ha la sua età ma continua a essere moderna, stuzzicante e scomoda.
Perché? Perché è una donna che parla di realtà di donne, e in generale di persone, denigrate e smontate della loro personalità e volontà per vivere in un nuovo mondo migliore.
Il genere femminile nei suoi romanzi è solitamente quello che ne soffre di più e il racconto dell'ancella ne è un esempio fantastico.
Difred (offred in inglese) è l'ancella di Fred, da qui il nome, ed è assegnata a quest 'uomo e a sua Moglie come riproduttrice in un'epoca di infertilità e gravi deformazioni nei neonati.
Le donne possono essere Ancelle, Mogli che godono di qualche privilegio ma comunque sono di proprietà e sottomesse agli uomini, Marte cioè addette alle faccende di casa, Nondonne quindi esiliate ai lavori più pericolosi e quindi praticamente dichiarate a morte. Tutte le categorie belle etichettate dai padroni maschi che invece sono Comandanti.
È Difred che ci racconta tutte queste cose, gli scempi di uno stato che per rimediare ad alcune situazioni ricorre a stratagemmi degni di un regime totalitario maschilista.
Mentre si legge il racconto non si può provare che rabbia e disperazione, quelle che Difred accenna senza mai delirare. La forza delle donne si puo cercare di spegnere ma è impossibile, il cameratismo, la maternità e l'essere mamma è una cosa che gli uomini vogliono uccidere ma anche avere, una serie di assurdità.
Il libro è forte e la storia è drammatica ma ci sono sprazzi di luce: la gentilezza di un'autista, la possibilità di un noi, la speranza di una nascita.
La Atwood crea un mondo orribile all'interno di un romanzo splendido che rapisce, che vorresti leggere tutto d'un fiato e poi buttare a terra e calpestarlo come sono maltrattate le vite delle protagoniste. Questo romanzo sorprende per la sua attualità sebbene sia stato scritto ormai negli anni 80. Come non dire a Margaret Atwood che è un genio?
Ho iniziato a guardare la serie tv tratta dal libro ed è altrettanto ben fatta.
Consiglio la lettura e la visione delle puntate televisive.

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RadicidiCarta Opinione inserita da RadicidiCarta    19 Febbraio, 2018
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Distopico? Quasi.

Il racconto dell’ancella è un romanzo distopico scritto da Margaret Atwood nel 1985. Nel 2017, grazie alla serie televisiva ideata da Bruce Miller, il libro ottiene nuova visibilità tanto che la casa editrice Ponte delle Grazie pubblica in giugno una nuova edizione che esaurisce presto. Nell’ottobre 2017 è già stata distribuita nelle librerie la quarta ristampa.

AMBIENTAZIONE

È impossibile descrivere una cosa esattamente com’era, perché ciò che dici non può mai essere esatto, devi sempre trascurare qualcosa, ci sono troppe facce, lati, fattori che si intersecano […]

Il racconto dell’ancella è ambientato alla fine del ventesimo secolo, quando il mondo sta cercando di riprendersi da una guerra mondiale. Come se non bastasse l’inquinamento e le radiazioni hanno abbassato il tasso di natalità, facendo avvicinare la popolazione a una recessione demografica.
La storia inizia nel Maine, dove è nata la “Repubblica di Galaad” che trae ispirazione dalla bibbia per creare una nuova società che riesca a fermare l’assente crescita demografica, attraverso una struttura piramidale con al vertice i Comandanti. Il sistema teocratico messo in atto è fortemente conservatore, tanto da bandire qualunque tipo di divertimento. Le donne, in più, perdono ogni potere o proprietà, viene tolto loro il diritto all’istruzione e a un salario, non possono leggere né scrivere e quelle di loro ancora fertili vengono destinate alla procreazione, piegate con torture fisiche e droghe per diventare Ancelle ubbidienti, da affiancare ai Comandanti e alle loro Mogli sterili: le Ancelle sono come la serva Bila nella Genesi, un mezzo per dare a Rachele una prole. Non sono più nemmeno padrone del loro nome: acquisiscono quello del Comandante al quale vengono assegnate preceduto da una preposizione di appartenenza. Non sono più esseri umani, sono oggetti.

Gli altri elementi della struttura della società di Galaad vengono mostrati in maniera più superficiale e non è sempre chiaro a che “livello della piramide” appartengano. Sicuramente meno rilevanti sono le Marte, una sorta di servitù nelle case dei Comandanti, e le Economogli, donne della classe povera che devono fare da Mogli, da Marte e da Ancelle per il proprio uomo.
Esistono poi gli Angeli, cioè i soldati, i Custodi, gli Occhi, coloro che vigilano per controllare che nessuno osi ribellarsi, una sorta di polizia segreta e le Zie, le incaricate di istruire le donne ai loro compiti.

TRAMA

Eravamo donne che non rifiutavano di perdersi nell’amore.

Il romanzo, scritto in prima persona, è la storia di Difred, un’Ancella al servizio del Comandante Waterford. La sua condizione la costringe ad indossare un vestito rosso, con un copricapo bianco con alette laterali, per nascondere il loro viso al mondo e, in parte, il mondo ai loro occhi.
La narrazione inizia con l’arrivo dell’Ancella a casa del Comandante e continua mostrando le dinamiche della casa, i rancori, le gelosie e i desideri dei membri della famiglia, ma soprattutto mostra la prigione di Difred nel nuovo ruolo che le è stato assegnato e nei ricordi della sua vita passata.

Lei come membro di una “generazione di transizione” sente tutto il peso della perdita, non solo dei privilegi materiali. Nemmeno questo sembra però riuscire a scuoterla e le sue giornate continuano seguendo i precetti che le vengono imposti. La sua non è una vita che si possa definire faticosa, in quanto ha l’unico dovere di mettere al mondo dei figli dei Comandanti e tutta la vita della casa gira intorno ai suoi cicli, ma può davvero definirsi vita?

PERSONAGGI

Sono una profuga dal passato, e come altri profughi ricordo le usanze e le abitudini di vita che ho lasciato o sono stata costretta a lasciarmi alle spalle, tutto sembra così strano da qui che ne sono ossessionata.

Difred è la voce narrante che tuttavia è apatica e incolore. È una donna che subisce quello che le accade intorno senza provare mai a ribellarsi, senza cercare di migliorare le cose, nemmeno nei limiti che le sono concessi. Tutto quello che cambia nella sua vita è dato dalle scelte e dai desideri di altri: lei non si muove, non agisce, rimane costantemente imprigionata nell’attesa di fare una scelta, fino alla fine, a parte un’unica situazione che però viene comunque descritta in maniera frettolosa e imprecisa, con lo stesso tono vuoto del resto della narrazione, perdendo così di importanza agli occhi del lettore.
Difred non è un personaggio ed è difficile considerarla una protagonista, proprio per la sua continua immobilità, per la sua mancanza di cambiamento. Niente di quello che succede è causato da un’azione o una presa di posizione dell’Ancella. Non è che un’osservatrice del mondo che la circonda.

Serena Joy è la Moglie di Waterford, obbligata a vestire di blu-azzurro per via del suo status. È una donna con problemi di artrite e il profondo desiderio di avere un figlio, che non arriva. Come tutte le Mogli, si trova ad avere dei privilegi, come la possibilità di fumare, che però non riescono a compensare tutto quello che ha perso e non potrà più avere. La sua insoddisfazione ricade sulla protagonista che vede come rivale, ma di cui sa di non poter fare a meno.
È un personaggio di cui non si sa molto: il suo passato ci viene raccontato tramite i ricordi, a volte confusi, di Difred eppure risulta più concreta e reale della protagonista, proprio per le sue contraddizioni e i desideri che la animano.

Il Comandante è un personaggio che compare come presenza, come simbolo, prima di mostrarsi per quello che è realmente. Dovrebbe essere un uomo di potere e di fede, uno dei baluardi della nuova società, ma in realtà è solo un uomo che cerca svago e divertimento, con pulsioni che può mettere in atto solo di nascosto a causa della società che ha contribuito a creare. Quello che è paradossale, ma che in realtà non stupisce, è che sono in molti come lui a cercare quello che non potrebbero ne dovrebbero desiderare.

Moira è un’amica di vecchia data di Difred, una ragazza con cui divideva l’appartamento prima del colpo di Stato. Di tutti i personaggi che compaiono nel romanzo è sicuramente quello più forte: al contrario della voce narrante, Moira ha dei desideri, delle speranze e agisce per riuscire a trovare uno spazio che non le stia troppo stretto. Sono tanti i personaggi che cercano di esaudire i propri desideri, all’interno del libro, ma nessuno arriva a spingersi così oltre le regole per avere la propria libertà. Sfortunatamente le possibilità non sono molte, ma l’impegno e la volontà di questo personaggio, per quanto sia secondario, hanno un forte impatto in un romanzo dove quella che dovrebbe essere la protagonista sembra poco più che un fantoccio sballottato dagli eventi.

CONCLUSIONI

Come tutti gli storici sanno, il passato è un grande spazio buio, colmo di echi.

Il racconto dell’ancella è un libro che ha alcuni grandi pregi, ma anche diversi difetti. Il pregio maggiore è sicuramente la capacità di fare riflettere il lettore e, se in un primo momento sembra che queste considerazioni vertano solo sulla condizione della donna, basta uno sguardo un po’ più approfondito per capire che quella della Artwood è una storia più universale, dove sì, le donne sono in condizioni estremamente difficili, ma anche gli uomini non possono considerarsi liberi e padroni di loro stessi: è una società dove pochi hanno preso il potere e cambiato le regole a loro discrezione, non una società dove tutti gli uomini hanno schiacciato ogni singola donna.

Al tempo stesso, come già detto, questo romanzo non ha un vero e proprio protagonista, non ha un eroe che agisca nel mondo che l’autrice ha creato, solo un personaggio con il quale non si riesce ad entrare in empatia.
Per di più, lo stile dell’autrice rende la voce della narratrice quasi artificiale e le lunghe digressioni, piene di elenchi di oggetti inutili, rallentano un racconto che sembra perdere qualunque tensione drammatica.

Quello che però rimane il problema più grave del libro, per me, è la mancanza di informazioni: Il racconto dell’ancella è un romanzo che si legge volentieri, in cerca di risposte su di un mondo che potrebbe essere il nostro, ma queste non arrivano mai. Chi sono le Nondonne? Cosa succede alle Ancelle dopo che il loro compito è finito? Ma soprattutto, come ha fatto a venire istituita questa nuova società? Possibile che nessuno si sia ribellato? Sono tutte domande alle quali il lettore deve dare una risposta da solo perché l’autrice non ne parla. Questo è comprensibile, se si considera che la visione che ne ha il lettore è quella di Difred e quindi parziale, ma i punti in sospeso rimangono troppi e nemmeno il capitolo finale riesce a riempirli.
La Atwood lascia all’interno della narrazione un sacco di dettagli che però non vengono mai approfonditi e spesso i personaggi seguono lo stesso destino: alcuni semplicemente spariscono, altri vengono solo abbozzati con niente più che il loro ruolo a definirli.

In un romanzo distopico, la mancanza di informazioni deve essere centellinata per dare un senso di paura e di mancanza, ma in questo caso le mancanze sono troppe e si ottiene l’effetto opposto: quello di non riuscire mai ad immergersi completamente nel mondo e di perdere ciò che ci lega ai personaggi e ci fa sentire solidali con loro.
In più, un romanzo distopico dovrebbe fare paura perché dovrebbe avere delle premesse così reali e vicine a noi da mostrarci dove potremmo finire se non cambiamo qualcosa nel nostro modo di agire, ma la mancanza di informazioni toglie anche questo punto fondamentale alla storia.

Nel complesso, quindi, Il racconto dell’ancella è un buon libro, uno di quelli che appena finito di leggere ti lascia emozioni forti per alcune delle scene che l’autrice narra, ma che a mente fredda mostra tutti i suoi limiti.

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68 Opinione inserita da 68    12 Febbraio, 2018
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Reale aberrante o sogno vivido?

…. Questa è una ricostruzione…


“....Il mio nome adesso è Difred, ho 33 anni, i capelli castani, molto tempo solo per riflettere, ovaie vitali, sono una profuga del passato.
L’ amore è stato cancellato, tutti quelli che ho amato sono morti, dispersi o forse non esistono più. Anch’ io sono una dispersa, che vive di sogni e speranze, la notte è il mio giorno, il giorno la mia notte, non mi trovo in prigione ma in un luogo privilegiato eppure vorrei riavere tutto com’ era, anche se il solo volere oggi non serve.
Questa è la repubblica di Galaad, dove la guerra non può entrare se non dalla televisione ed esiste solo la libertà da e non di. Appartengo ad un Comandante, alla moglie del Comandante, che mi considera un’ onta ed una necessità, sono accerchiata da Zie che vigilano, Guardie con le pistole, Custodi in uniforme, Occhi, Angeli, Marte, Economogli, e poi cerimonie, rituali, riunioni famigliari, la Rigenerazione.
La Costituzione è stata abolita, come il giorno dell’ Indipendenza, le donne non possono più possedere niente, se non i propri ricordi ed un passato non totalmente sepolto che ancora respira dentro di se’.
Noi ( ancelle ) viviamo solo per procreare, siamo un prodotto preconfezionato, il sesso e l’ eccitamento non più necessari e sintomo di superficialità, ma nessuno muore per mancanza di sesso, solo se privato dell’ amore e qui non c’è nessuno che io possa amare.
Sembro un’ ombra deformata, una guardia di qualcosa, una suora inzuppata nel sangue, una forma rossa con ali bianche attorno al viso ( per non vedere ne’ essere vista ), una donna indefinibile.
Oggi non ci è più permesso leggere, scrivere, pensare, e tutto ciò lo si fa con avidità. Si può controllare il proprio comportamento ma non i sentimenti, non possiamo parlare ma solo sussurrare, il vero pericolo sta nel grigiore.
Ci vorrebbe una prospettiva, un desiderio di profondità, perché il vivere di solo presente equivale a non vivere e ciò che sta accadendo non ha nulla a che vedere con passione ed amore.
Un tempo eravamo tristi ma molto felici, c’ era ancora la possibilità di un abbraccio, si parlava di amore e di innamoramento, ma forse era una società che moriva per la troppa libertà di scelta.
Oggi cerco di non pensare troppo, le possibilità sono ridotte, il tempo è misurato da campane, tutto è rosso.
La notte è il mio tempo libero, ma dove potrei andare? Non ho che la mia stanza, la solitudine, l’ attesa di un qualcosa, senza forma ne’ nome. Devo essere impenetrabile, avvolta in un senso di vuoto e con il dovere di non provare niente.
In fondo sono viva, respiro, vivo, desidero commettere l’ atto del toccare, anche se sono una persona dispersa.
Dove sono finite speranza e carità? In tali condizioni limitate ci si attacca ad oggetti strani, ricercando qualche spazio da rivendicare, occupare il tempo e la quantità di tempo vuoto, tra ricordi del passato che mi colgono come uno svenimento ed il terrore della possibilità di una via d’ uscita, della salvezza “....

Ecco “ Il racconto della ancella”, un estenuante ed apocalittico viaggio stanziale senza ritorno, una rappresentazione ed una ricostruzione univoca da parte di una donna scossa, violata, inorridita, di un inferno fisico e morale, di un incubo imperscrutabile, inammissibile, talmente inverosimile da confondere sogni, desideri, speranze e la propria percezione degli stessi.
Se questo è il nuovo mondo purificato per ripristinare la legge di Natura, se questa non vita è vita, non resta che fuggire, o cercare un adattamento, perché la normalità converge nell’ abitudine e dopo un po’ qualsiasi cosa diverrà tale.
Chi non ci riuscisse e si opponesse all’ orrore perpetrato ricercherebbe un’ utopica via salvifica in quella sola speranza, il proprio se’, e nella residua libertà, che non potrà mai esserci sottratta, di essere e di pensare, di amare e di sognare.
Ma all’ interno di un tale sistema carcerario e di un vivere siffatto sovente non c’è alcuna possibilità di scelta, se non l’ attesa della fine e la speranza di una rivoluzione imminente, perché qui tutto è stato rovesciato, la realtà è l’ incubo e la propria vita, azzerata, solo un’ idea ed un lontano ricordo.
Ed allora? La buona letteratura, e qui senza dubbio di questo si tratta, pur nella propria distopica e discutibile visione e rappresentazione del reale, tale rimane, è monito, preveggenza, riflessione, rimpianto, tutte categorie dell’ umano sentire che riescono a trasferire un messaggio vivido di inadeguatezza ed intimità violata.
Quale società qui si vuole rappresentare e quale senso di profondità? Un futuro inverosimile, un presente che non avrà futuro, un passato rimpianto e non ancora dimenticato o semplicemente spunto per ricercare risposte a verità e possibilità inquietanti, futuribili e non, scuotendo la sensibilità individuale, e, tra le righe, mostrando un senso di libertà vera e presunta ( nel paese della libertà’ illimitata ) che tale non è o non è percepita da una sfera personale ( femminile) spesso violata e dal sentimento di pochi?
Risposte precise non ve ne sono, solo ipotesi e spunti di riflessione, ricordiamoci che sempre di romanzo si tratta, laddove realtà e fantasia si fondono e si confondono e la ricostruzione e visione di fatti personali provenienti dal passato cozza con l’ imperfezione ed incompletezza delle fonti ( il racconto della ancella ).



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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    06 Gennaio, 2018
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Distopia si, distopia no.

Inizierò dal giudizio conclusivo. Non mi è piaciuto. E cercherò di spiegarne i motivi, quanto più dettagliatamente possibile.
Se il cinquecento e il seicento videro la pubblicazione di opere quali Utopia (1518) di Thomas More, La città del Sole (1602) di Tommaso Campanella, o ancora New Atlantis (1623) di Francis Bacon, come risposta a quelle istanze e aspirazioni al cambiamento generate dalla crisi profonda della società medievale e dal declino del sistema feudale, opere che hanno rappresentato il sogno utopico della realizzazione di una società ideale, dove regni la pace e domini la cultura, il ventesimo e il ventunesimo secolo, al contrario, hanno visto e vedono tuttora la pubblicazione di romanzi che sono stati definiti distopici. Già questo dovrebbe farci riflettere. Ciò fa supporre, infatti, che nell’epoca in cui viviamo stiamo perdendo gradualmente la capacità di sognare o di prospettare un futuro migliore per le generazioni a venire. Tralasciando le opere di Huxley (Brave New World, 1932) e di Bradbury (Fahrenheit 451, 1953), il romanzo distopico più celebre è certamente quello che iniziò George Orwell nel 1948 e che fu poi pubblicato l’anno successivo con il titolo 1984, un’opera che nacque dalla consapevolezza di quella crisi dei valori del socialismo, tradito nella sua realizzazione nei paesi comunisti e fascisti. Scritto ardito per l’epoca ma scaturito dall’osservazione della realtà contemporanea. Una distopia, infatti, per quanto preconizzi un assetto politico e sociale immaginario, non prescinde dalla realtà da cui trae spunto.
È del 2015 il romanzo di Michel Houellebecq, Sottomissione, che ha fatto molto discutere, per il quadro allarmante che prospetta per la nostra società e per la cultura occidentale in declino, dominata ormai dal Partito della Fratellanza Musulmana. La lettura di questo romanzo, all’indomani degli attacchi a Parigi al giornale Charlie Hebdo e al Bataclan risulta di grande impatto emotivo. Dunque anche in questo caso la distopia fantapolitica trova le sue radici nella realtà della nostra epoca.
Veniamo ora al romanzo di Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella, riedito da Ponte alle grazie, dopo il successo della serie televisiva proposta da Hulu. Esaminiamo ciò che non convince in questa creazione distopica.
La storia è ambientata nella Repubblica di Galaad, che altro non è se non la trasformazione e la degenerazione degli Stati Uniti in una repubblica a regime totalitario, in cui le donne fertili sono diventate schiave allo scopo di procreare figli per coppie sterili, una sorta di contenitori da riempire per incrementare le nascite. La donna perde così ogni diritto fin qui acquisito, diviene uno strumento, tutto il suo passato e i suoi legami affettivi azzerati. Tutto ciò per rispondere alle esigenze di questo stato totalitario e oltretutto teocratico.
Il paradosso, che pure è alla base di tutte le opere fin qui citate, non ha in questo caso un fondamento giustificato. Se nel caso di Orwell e di Houellebecq la distopia trae origine da una situazione politica e sociale che ha un fondamento nella storia recente, come si può preconizzare una riduzione a tale schiavitù del genere femminile in un paese in cui esso ha lottato per raggiungere un livello di emancipazione avanzato seppure non perfetto? Siamo consapevoli del fatto che un deprecabile sessismo strisciante si sia impadronito di alcuni ambienti e sia dilagato trasversalmente nella stessa società americana, eppure una situazione quale quella immaginata nel romanzo della Atwood sarebbe impensabile in qualsiasi paese occidentale, che ha combattuto per i diritti civili, per la parità di genere, per il testamento biologico o le unioni civili, un paese in cui si può liberamente parlare di fecondazione assistita e utero in affitto. Che in molti paesi la donna viva in una realtà che la rende schiava e la priva di ogni diritto civile, una realtà che la usa e ne abusa, che la condanna persino alla lapidazione in caso di adulterio, è cosa tristemente nota, ma ipotizzare uno scenario simile in un futuro prossimo in un qualsiasi paese occidentale, priva, a mio avviso, la distopia di quella caratteristica indispensabile alla sua “credibilità” e cioè del riferimento ad una situazione sociale e politica davvero profondamente allarmante.
In quarta di copertina del libro della Atwood si legge una nota tratta da Vanity Fair: “Molti sostengono che sia una lettura di vitale importanza nell’era di Trump, forse anche più preveggente e forte di 1984.” Ora se è pur vero che abbiamo ascoltato inorriditi gli apprezzamenti dell’attuale Presidente americano riguardanti il genere femminile, ricordiamoci però che la ribellione e la protesta si è fatta sentire poco dopo con la denuncia dello scandalo Weinstein.
Ecco perché giudico l’opera della Atwood una distopia totalmente avulsa dal contesto sociale e politico attuale. Perché la distopia deve avere radici nella realtà, a meno che non se ne faccia una satira politica come nel caso della Modesta Proposta di Swift, anche se pure in quel caso non si può ignorare il retroterra politico e sociale dal quale l’autore aveva tratto spunto.

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ALI77 Opinione inserita da ALI77    05 Gennaio, 2018
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UN ROMANZO ORIGINALE E ATTUALE

E’da un po’ di tempo che pensavo di leggere questo romanzo dispotico, me lo sono ritrovava davanti ogni volta che andavo in libreria, oppure che sfogliavo dei giornali o facevo delle ricerche in internet.
MI ha “letteralmente” perseguitata, era come se mi chiamasse e mi chiedesse di essere letto.
Purtroppo fino a che non l’ho letto, il pensiero di questa storia mi è rimasta in testa e devo dire che ne è valsa la pena, perché nonostante sia stato scritto negli anni ottanta, è una lettura molto attuale e moderna.
Margaret Atwood ha una penna raffinata e ammaliante che ti accompagna per mano nel corso della storia, dove ogni pagina è interessante per capire il romanzo, il lettore è curioso di conoscere cosa sia Galaad e quale sia la vita delle ancelle che lo abitano.
La struttura del paese è ben sviluppata dall’autrice che ci spiega nei minimi dettagli quale sia la struttura della società, troviamo i Comandanti con le loro Mogli, le Marte, le Ancelle, le Zie e Nondonne, oltre ai Custodi, agli Angeli e agli Occhi.
Le vere protagoniste sono le Ancelle, queste donne che sono state scelte come “contenitore” per procreare, naturalmente sono donne umiliate, che devono solamente fare quello che gli viene detto, che ripetono frasi simili al Vangelo ma diverse da quello che possiamo leggere nei testi sacri. Diciamo che a Galaad si nomina molto la religione, ma non è quella che noi conosciamo, è un po’ cambiata. Le ancelle sono costrette ad andare a letto con il Comandante in quanto le loro Mogli non sono in grado di dargli un figlio.
Queste donne che non hanno la libertà, sono schiave di questo paese, costrette a vestirsi di rosso e in testa devono tenere un copricapo con le alette bianche che gli impediscono di vedere e di essere viste.
Difred, è la protagonista della storia, nella vita di prima, come viene chiamato il periodo prima dell’esistenza della repubblica di Galaad, era sposata ad un uomo divorziato Luke e aveva una bambina, queste ancelle e anche Difred vengono isolate dai loro affetti e non possono più stare con i loro figli e non sanno nemmeno dove sono i loro cari.
Per tutte le altre donne, che non sono mogli, ancelle, marte o zie, vengono chiamate Nondonne e spedite nelle Colonie e non si sa nemmeno che fine fanno.
Tutto quello che per noi è normale, diventa proibito, indossare un vestito corto, avere i capelli sciolti, avere una propria indipendenza, anche per Difred il mondo è cambiato in un istante, un giorno si è trovata senza lavoro, senza un conto in banca e senza nulla che fosse di sua proprietà.
Anche la libertà di leggere viene abolita, non ci possono più essere riviste o romanzi e la maggior parte della tecnologia non viene utilizzata.
Durante il parto di una delle ancelle, non vengono utilizzati anestetici o macchinari, questo comporta che il parto possa essere fatale per la donna e per il bambino, oltre che durante la gravidanza non vengono fatti esami o altro, quindi non possiamo nemmeno sapere se i neonati stanno bene.
Alle donne viene tolto qualsiasi cosa, non devono avere nulla di loro proprietà, non devono essere autonome e indipendenti, il mondo di Galaad è dominato dagli uomini e dalla loro volontà.
Se pensiamo, non siamo molto distanti dal passato anzi siamo tornati al passato, in una società che considera la donna meno di niente, che viene utilizzata solo come mezzo per procreare come se fosse un macchinario, un essere senza sentimenti e senza emozioni che deve solo eseguire gli ordini.
La donna a prescindere, viene considerata impura e colpevole, anche la Eva della creazione viene incolpata per il peccato originale in quanto Adamo non ha nessuna colpa e l’unica cosa che la può salvare è la maternità.
Tutto quello che avevamo prima era sbagliato e impuro, ma Difred non può cancellare i ricordi, il mondo in cui viveva prima e infatti nel testo una delle Zie dice queste frasi “ per quelle che verranno dopo, sarà più facile, perché accetteranno il loro dolore con cuore volenteroso. Non diceva: perché non avranno ricordi, ma diceva: perché non vorranno cose che non possano avere”.
Le ancelle escono solo per fare la spesa e gli vengono dati dei buoni per acquistare il cibo, vanno via sempre in coppia, non tanto perché hanno un’amica, ma per proteggersi dalle altre persone o per essere spiate dalla compagna che può riferire qualche comportano strano al Comandante o alla Moglie.
I rapporti umani e i sentimenti come l’amore o l’amicizia non sono contemplati, le ancelle devono assolvere all’unico loro compito quello di procreare, è l’unica cosa che conta.
Leggendo la storia, ho percepito l’angoscia di Difred, l’autrice è riuscita a creare un mondo in cui le donne hanno paura e non hanno il coraggio di lottare e di ribellarsi per riprendere la loro libertà, l’unica cosa che rimane è il loro corpo che però viene barattato come se fosse una merce di scambio.
La cosa che tiene Difred legata al passato sono i ricordi, ma purtroppo per quanto lei si sforzi, il volto del marito e della figlia si fa via via meno nitido e si somma alla paura di perdere l’unico contatto con il mondo di prima.
Con il tempo ci si abitua a questa situazione e si è costretti a sopportare di vivere in un mondo dove tutto è sbagliato, dove i diritti delle donne così duramente conquistati non esistono più.
In un mondo in cui regna il terrore e la paura, una morale quantomeno bigotta e soffocante, dove non c’è spazio per i sentimenti e le emozioni c’è una piccola luce, un piccolo bagliore di speranza, un piccolo spazio per l’amore e forse per cambiare le cose. Una flebile illusione in un futuro migliore.
Ho trovato agghiacciante leggere queste pagine e pensare che un giorno, forse, potrebbe veramente esistere Galaad e vivere in un mondo dove noi donne non siamo considerate, se ci pensiamo, ci vuole poco per tornare indietro e invece ci vuole così tanto per fare una minima evoluzione.
Un romanzo dispotico molto attuale, coerente, verosimile che lascia con la bocca aperta il lettore, che lo sorprende, lo indigna e lo fa riflettere. Se ci pensiamo l’autrice non ha dovuto lavorare troppo con la fantasia, ha solamente descritto un mondo con un sguardo al passato, dove le diversità non vengono accettate e rispettate, ma solo represse ed eliminate.
Un testo fondamentale e indispensabile che tutto dovremmo leggere, per capire che un mondo così non ci dovrà mai essere, per ricordarci quanta strada abbiamo fatto per riuscire ad arrivare qui oggi, a poter avere la libertà di decidere cosa fare nella nostra vita, chi amare e se avere figli o meno.
Per anni, noi donne, abbiamo lottato per avere gli stessi diritti degli uomini e abbiamo capito che le diversità devono essere accettate e anzi siano un valore aggiunto per una società moderna.
Non possiamo tornare al passato ma dobbiamo e abbiamo il dovere di continuare ad essere civili e ad aprirci alle diverse nazionalità, religioni, modi di pensare e soprattutto ad essere più tolleranti coltivando la cultura del diverso e a non rimanere chiusi nel nostro orticello, nel nostro posto sicuro.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    02 Novembre, 2017
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Che i bastardi non ti schiaccino...



"Che i bastardi non ti schiaccino..."

Se davvero esistesse un momento storico perfetto per poter (dover) leggere questo libro, beh...quel momento sarebbe ora!
Proprio adesso che...dopo secoli e secoli di lotte, emancipazione, studi, cultura, cortei in piazza e reggiseni bruciati, sentiamo ancora pronunciare frasi del tipo: "se l'è cercata", "ha provocato", "l'ha voluto lei".
Donne picchiate, stuprate, deturpate, uccise...in nome di un amore che non c'è, di un possesso malato, di un potere maschile detenuto abusivamente, in nome di un retaggio difficile da debellare, che torna e ritorna...indigesto.

La Atwood, nel 1985, immaginava un futuro in cui la donna sarebbe diventata mero strumento per la procreazione, sottomessa e ridotta al silenzio, al servizio di un regime totalitario teocratico (di stampo biblico).
Ancelle, Marte, Mogli, Zie, Nondonne...ognuna con caratteristiche precise, precisi doveri...e zero diritti.
Donne umiliate nella loro incapacità di procreare (le mogli), costrette a condividere il letto e il marito con altre donne (le ancelle), considerate poco più che contenitori vuoti in attesa di essere riempiti dal seme "benedetto" (spesso sterile) dei Comandanti, costrette a guardare solo quella porzione di mondo consentita dalle loro alette bianche, i loro paraocchi, e private del loro stesso nome oltre che degli affetti precedenti (figli compresi).
Se non sei moglie, non sei feconda, non sei serva o guardiana della "morale" femminile...non sei nulla, e quindi destinata alle Colonie, a spalare materiale radioattivo aspettando la morte.
Chiunque trasgredisca le regole, indipendentemente se uomo o donna, finisce appeso "al muro", secondo la procedura della Rigenerazione.

Ma in questo contesto repressivo, dove i sentimenti non sono contemplati, dove i ricordi di "quel che era" consumano la mente terrorizzata all'idea di perderli, di sentirli sfumare come i lineamenti di chi si è amato e non c'è più,   in tutta questa anaffettività imposta dal terrore, da una morale castrante e bigotta...c'è sempre una piccola possibilità, uno spiraglio da cui far passare l'amore, la speranza, la voglia di sentirsi ancora vivi.
Perché se è vero che alla fine ci si abitua a tutto...è vero anche che nessun regime dittatoriale potrà mai annullare il bisogno d'amore e la ricerca della luce, anche quando intorno non c'è altro che il buio.

Un distopico quantomai realistico, coerente, plausibile.
Ciò che è davvero agghiacciante è il fatto che la Atwood non ha dovuto lavorare con la fantasia per descrivere questo "futuro" immaginario, anzi, le è bastato rivolgere lo sguardo all'indietro, attingendo dal passato, da comportamenti perpetrati per secoli, osannati anche dalle sacre scritture.
La Atwood è ipnotica, precisa, ti rapisce dalla prima pagina e ti lascia andare solo alla fine, dopo averti scosso, rattristato, angosciato, fatto adirare, commuovere, inorridire...
Un libro bellissimo, forte, illuminante...necessario.

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AsiaD Opinione inserita da AsiaD    27 Ottobre, 2017
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LIBERTA DI E LIBERTA DA

Ho dato questo titolo perché è una frase, che oltre ad essere nella quarta di copertina dell’edizione che ho letto io, mi ha fortemente colpita, è il nucleo intorno al quale gira il concetto del totalitarismo antico e moderno e probabilmente futuro; è il capro espiatorio su cui si regge il messaggio che un qualsiasi governo autoritario o estremismo religioso veicola al proprio popolo bue, ossia l’idea che la repressione sia necessaria per liberare il singolo da pulsioni definite devianti e comportamenti tacciati per non consoni e fuorvianti rispetto alla retta via da seguire, l’unica, quella tracciata dal Capo.
Questo romanzo riesce perfettamente a sintetizzare questo concetto e a raccontare la parabola del totalitarismo che può essere adattata a qualsiasi realtà storica in qualsiasi parte del mondo. Atwood lo fa in maniera esemplare inventando nel suo racconto distopico, che niente ha da invidiare a 1984 di Orwell, una realtà geograficamente localizzata in America che vede chiudere le porte alla democrazia e al “libertismo” per lasciare il passo a ferree regole di comportamento e a rigide distinzioni sociali in cui le donne vengono relegate a ruoli di servizio verso gli uomini, che siano Mogli, Marte, Zie, Nondonne, soprattutto Ancelle, non importa, tutte chi più chi meno in un modo o nell’altro rendono servizio alle necessità fisiche e non dell’uomo, racchiuso nel simbolico Comandante. Il fine ultimo è la riproduzione in un mondo in cui, per motivi poco chiari, sembra esserci poca speranza di avere figli e soprattutto sani. Già qui quanta modernità; quanto è attuale il concetto per cui il fine ultimo della società è quello di fare figli, assicurare che il proprio nome si protragga nel tempo e lo si fa anche oggi con i mezzi più disparati. In fondo mi pare di capire che le radiazioni chimiche nell’aria fossero circoscritte al quel luogo fantomatico, quindi perché non scappare tutti e rifugiarsi in un’altra parte del mondo? Si accenna nel libro all’Europa come zona franca, per cui è chiaro che la ragione che sembra prettamente fisica di cercare di riprodursi in maniera sana in un mondo attaccato durante una guerra che quanto sia davvero reale non si capisce, è solo una chiara scusante per la volontà di fondo che è quella di avocare a sè il potere e fare del corpo delle donne una proprietà di cui disporre. E’ lo stesso Comandante che in un dialogo con l’Ancella accenna al concetto “Che cosa potevamo fare di diverso?” quasi fossero stati costretti a mettere in scena questa patetica recita drammatica. E di dramma ce n’è molto in questo romanzo, manca l’aria alle volte leggendo, ti trascina nell’angoscia della protagonista, mi ritrovavo spesso a chiedermi “ e se domani la mia carta di credito o il mio bancomat davvero non dovessero più funzionare all’improvviso in quanto persona di sesso femminile? Cosa farei?” Quale personaggio della recita vorrei o preferirei recitare? Una Marta? Un’Ancella? Una Nondonna? O una prostituta? Perché chiaramente anche in un mondo nuovo con regole puritane nuove, non manca uno spazio per la trasgressione dove i Comandanti contravvenendo alle regole da loro stessi imposte si dedicano a sollazzi appartenenti al Mondo di ieri.
Ho trovato geniale l’idea dei nomi affibbiati alle Ancelle, che, cancellato con una passata di spugna il passato ed insieme la loro stessa esistenza e personalità, vengono vestite di rosso e concesse in proprietà ai Comandanti e le loro Mogli diventando di volta in volta Difred, Diglen e così via. Il rapporto con le Mogli è chiaramente assurdo, in quanto le Ancelle prendono fisicamente il loro posto nell’unico scopo di procreare, e diventano quindi oggetto di odio e gelosia da una parte ma mezzo di speranza per diventare madri dall’altra. Ci sarebbe tanto di cui scrivere su questo dualismo di rapporti e di sentimenti che alle volte, estremizzando, appartiene all’universo femminile che si immola per i propri uomini, che è crocerossina e amante a seconda delle necessità, che chiude gli occhi pur di mantenere il proprio ruolo di moglie in società.
Non voglio fare chiaramente spoiler, dico solo che due tra le scene più di tutte raccontate hanno dentro di sé tutta l’epicità che caratterizza questo meraviglioso romanzo e su cui consiglio di soffermarsi, quella del rapporto a tre tra Ancella, Comandante e Moglie e la Nascita, come viene intitolato il capitolo, che tratta del Parto.
Un vero capolavoro.

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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    14 Ottobre, 2017
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La Riproduzione di stato

Il racconto dell'ancella è un romanzo distopico scritto da una donna per l'appunto, o meglio un'ancella cioè l'equivalente di una prostituta di stato. Prostituta dal punto di vista di lei, dal punto di vista del potere incubatrice anche se non madre dei futuri bambini dello stato. I figli delle ancelle le sono tolti alla nascita e affidati alle mogli. La teocrazia nasce in un periodo critico e dopo un forte calo di nascite. Si tratta di una dittatura maschile organizzata in modo che le donne possano ricoprire all'interno della famiglia diversi ruoli: Mogli, Ancelle o Marte (addette alla cucina). Oltre a queste ci sono le zie, troppo vecchie per rientrare negli altri ruoli. L'alternativa per loro è la morte. Nessun ruolo sembra migliore dell'altro. Un equivalente maschile delle zie sono gli Occhi, un sistema di spionaggio/polizia. Il regime è ben descritto in ogni particolare e viene ben reso il grigiore e l'impossibilità di scambiarsi liberamente opinioni oltre che di svolgere libere attività. Il regime è cementato da pubbliche esecuzioni o esposizioni di cadaveri di dissidenti. Sono giustiziati tutti i medici abortisti e i preti, dato che la vecchia religione è sostituita dalla nuova che usa la Bibbia ma a suo beneficio.
La vita di tutti i giorni è descritta alla perfezione. Il grigiore è però troppo compatto. Ogni azione apparentemente più umana ha sempre alle sue spalle un possibile tornaconto come movente. La mancanza di qualche luce spegne un po' la storia. Avrei voluto capire meglio cosa passava per la mente di tutti anche se alcune idee sono buone. Forse certe figure potevano essere meglio sfruttate. L'idea del comandante che sembra una persona qualunque invece è probabilmente uno dei leader della teocrazia; il fatto che voglia stabilire con l'ancella un rapporto amicale o di prostituzione più intrigante. Certe cose sono troppo vaghe. Tra l'altro molte storie restano sospese e questo a me non è piaciuto molto. Avrei preferito qualche luce e qualche filo di trama in più.

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Pigottina Opinione inserita da Pigottina    07 Ottobre, 2017
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"L'Inferno ce lo possiamo fare da soli"

Il racconto dell'ancella mi ha preso piano piano. Le prime pagine sono state un po' spiazzanti, c'era tutto un nuovo mondo da conoscere attraverso i pensieri, i ricordi e i doveri della protagonista, il fatto che sia scritto in prima persona aumenta molto l'immedesimazione con lei.

Il libro è stato scritto nel 1985 e l'ipotetico futuro cui si riferisce, potrebbe essere il nostro presente.
La Terra, devastata dalla radioattività, vive nel terribile stato di non veder quasi più nuove nascite e le donne fertili, molto rare, vengono rieducate per essere asservite all'uomo, anche il loro nome arriva ad indicare l'uomo cui appartengono.
Coloro che non si piegano vengono mandate a smaltire rifiuti tossici, quelle che non servono allo scopo di fattrici ma si piegano sono assegnate al ruolo di domestiche definite Marte oppure, se sono abbastanza devote alla causa, di educatrici delle ancelle, sono però tutte Non-donne .
Le ancelle, quindi, vivono in una società patriarcale dove tutto, sguardi compresi, è proibito, pena la morte, ed hanno l'unica funzione di dare figli alla élite dominante, i Comandanti e le loro mogli; tutto è severamente disciplinato dagli Occhi, membri dei servizi segreti, dagli Angeli appartenenti ai soldati e controllato capillarmente secondo regole da fanatismo religioso adattato alle esigenze della classe dirigente.

E' un libro angosciante, si sente il senso di oppressione di una società così costruita, ma più andavo avanti meno potevo staccarmene. Ad esasperare i contrasti tra i due tipi di società vissute dalla protagonista, sono stati i continui flashback su quello che si era perduto, perché "quando vivi libera non pensi al valore della libertà".

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Anna_Reads Opinione inserita da Anna_Reads    25 Luglio, 2017
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Prima non mi capitava...

Il Racconto dell’Ancella – Margaret Atwood, 1985

Distopia (?) di più di trent’anni fa che fa scorrere il freddo nelle ossa, perché non solo è orribile, ma è vicina, quotidiana, prossima.
Nella non meglio specificata Galaad, che – forse – evoca il purissimo figlio di Lancillotto, che era talmente insopportabile da essere assunto immediatamente in cielo (e infatti chi lo sopportava, in terra?), è successo “qualcosa” per cui una società abbastanza simile alla nostra è diventata, tout court una teocrazia di stampo cattolico (in realtà la “nostra” società somiglia già abbastanza ad una teocrazia di stampo cattolico, ma la Atwood è canadese).
Come ogni brava dittatura religiosa che si rispetti, uno degli obiettivi che si pone è il controllo del corpo femminile, naturalmente mascherato da cura (di che?), protezione (da chi?), ritorno alla sacralità della natura e simili facezie.
Le donne sono preziose, perché, ovviamente, servono bambini e quindi una donna in età fertile è un prezioso contenitore per futuri sudditi (non suona per niente familiare a nessuno, vero?).

La nostra protagonista senza nome “vero” non era proprio una donna perfetta, prima.
Aveva studiato, lavorava e se non ricordo male aveva pure divorziato.
Aveva un compagno, Luke, e una figlia. Carte di credito. Una madre emancipata ed amiche ancor più impresentabili di lei. Senza figli e dalla condotta libera. Vestite in modo bizzarro. Fumatrici. Tatuate.
Quando la situazione si è fatta difficile (per dire. Quando hanno bloccato tutti i conti delle F, permettendo solo alle M di possedere denaro), con Luke e la bambina, tenta la fuga. Che fallisce.
La famiglia viene separata e di Luke e della bambina non si saprà più nulla.
Il destino della protagonista, però, potrebbe essere peggiore, perché è ancora fertile, quindi le viene assegnato il ruolo di “ancella”. Deve vestire di rosso con un lungo abito senza forma e portare una cuffia bianca che le nasconda il volto (per essere protetta. Da chi?).
A parte una “rieducazione morale” non riceve vessazioni particolari (Rieducazione: “Siete una generazione di transizione, diceva Zia Lydia. Per voi è più difficile. Sappiamo che da voi si attendono dei sacrifici. È duro subire l'oltraggio degli uomini. Per quelle che verranno dopo, sarà più facile, perché accetteranno il loro dovere con cuore volonteroso. Non diceva: perché non avranno ricordi. Diceva: perché non vorranno cose che non possono avere.").
Deve svolgere piccoli incarichi (fare la spesa, passeggiare, mantenersi in ordine e pulita) e ça va sans dire, aprire le gambe per fare in modo che gli uomini meritevoli abbiano figli.
Se poi riuscisse a concepire e, addirittura, a generare un bambino sano, la sua valutazione sociale sarebbe alle stelle.
Non è però il brutale stupro che può sembrare, perché non è “brutale” in senso stretto. È peggio. Gli uomini “meritevoli” ovviamente sono sposati, ma disgraziatamente hanno mogli non fertili (gli uomini non possono non essere fertili, ovviamente), ma la Bibbia, bontà sua, ha una soluzione anche per questo, con l’edificante storia di Rachele:
“Ora Rachele vide che non poteva partorire figli a Giacobbe (…) Allora ella disse: «Ecco la mia serva Bilha. Entra da lei e lei partorirà sulle mie ginocchia; così anch'io potrò avere figli per suo mezzo».”
Qui non è solo il parto ad avvenire sulle ginocchia della moglie, ma anche il concepimento, giusto per togliere ogni lubricità al tutto.
L’ancella fa il bagno, si sdraia sul letto, appoggia la testa in grembo alla moglie, solleva leggermente (non troppo) il vestito e il marito compie il suo dovere coniugale.
D’altronde “non lo fo per piacer mio, ma per dare figli a dio!” (Teocrazie cattoliche, si diceva).
Qui si rispettano le donne! E si proteggono.

Ovviamente nel libro succede altro, perché – stranamente – ci sono donne che amano avere un corpo, uomini a cui piace essere baciati, giocare a scarabeo (!) e simili bizzarrie.
Rimane addosso, però, a fine lettura, una sensazione strana.
Da una parte lo straniamento della protagonista che va a fare la spesa e passa accanto al muro dove si impiccano (incappucciati) i dissidenti e lei li scruta temendo/cercando qualcosa di Luke, di cui non sa più nulla. Sa che probabilmente, essendo un uomo, non è stato “fortunato” come lei o la loro bambina, non di meno spera: “Lo sa che mi trovo qui, viva, e che penso a lui? Devo credere che sia così. Quando le possibilità sono così ridotte devi credere ad ogni sorta di cose. Adesso credo nella trasmissione del pensiero, nelle vibrazioni nell'etere, in queste sciocchezze. Prima non mi capitava.”
“Vorrei tanto che Luke fosse qui. Vorrei essere abbracciata e chiamata per nome. Vorrei essere valutata in un modo diverso, vorrei essere superiore a ogni valutazione. Ripeto il mio nome di un tempo, mi ricordo di ciò che una volta potevo fare, di come gli altri mi vedevano.”
E tutto sembra lontano.
Poi però certi discorsi (“Noi non abbiamo fatto altro che ripristinare la legge della Natura”) certe dinamiche (donne che controllano e vigilano la moralità di altre donne per un supposto bene “superiore” - di chi?), la protezione, l’incontrare e santificare il proprio destino (!) biologico (!), la gloria della maternità, la perdita di diritti che sembravano acquisiti, la protezione che diventa controllo e reclusione, la distinzione fra chi può stare seduto, chi in piedi, chi in ginocchio, chi regge l’ombrello, chi si bagna o resta sotto il sole…
Questo è vicino, quotidiano, prossimo.

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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    21 Giugno, 2015
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Libere di.

Femminicidio, stalking, violenza di genere, sono temi ricorrenti nella cronaca quotidiana, e che vedono, purtroppo, un numero sempre maggiore di donne vittime della presunta superiorità, della prepotenza e della protervia maschile, instillata da secoli di retrograda educazione maschilista.
Da sempre la donna è vittima degli uomini, da sempre la donna per motivi di convenienza e di sfruttamento ora antropologico, ora culturale e religioso, è posta volutamente e fraudolentemente, a prescindere da qualsiasi spiegazione logica che non sia d’interesse di genere, su un gradino inferiore all’uomo nella scala gerarchica del potere, di qualsiasi potere.
Appare quindi quasi logico che un romanzo basato sulla sottomissione, umiliazione e sfruttamento della donna non possa mancare nell’ambito della letteratura distopica.
Come sappiamo, i romanzi della distopia prospettano una realtà che è esattamente l’inverso di un’ideale utopia; essi cioè non sono romanzi di fantascienza in sé e per sé, ma descrivono il grigio futuro della società umana, composta non con paesaggi strabilianti e meraviglia ipertecnologica, ma con più prosaici caratteri, esattamente quelli più deleteri del nostro presente, portati all’esasperazione inverosimile nella futura società.
Un romanzo della distopia al femminile è, dunque anche “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood, dove tutto quanto la donna è costretta ancora a subire nel nostro presente, malgrado i tanti progressi dell’emancipazione femminile, è esasperato al massimo in un futuro non meglio precisato, sorto subito dopo l’usuale catastrofe ecologica – nucleare, che caratterizza spesso l’inizio di questi scenari futuri, tutti post apocalittici.
In un’ipotetica repubblica del tutto sovrapponibile a una moderna città americana vive la protagonista del romanzo, una giovane donna di nome Difred.
Si tratta, e si capisce già dopo poche pagine, di una città, un paese, retto da un regime dittatoriale, le strade sono pattugliate da giovani in assetto di guerra, i Custodi, agisce una polizia segreta, gli Occhi, ai muri penzolano, a perenne monito, i corpi giustiziati dei ribelli, di quanti cioè si sono macchiati di qualche crimine contro il regime.
Un’auto accompagna Difred presso la sua nuova destinazione, la casa del Comandante Fred.
Sì, perché Difred, completamente vestita di rosso, tranne che per due paraocchi bianchi che la coprono agli sguardi indiscreti dei non autorizzati, come il suo abbigliamento monacale la identifica, come fosse un’alta divisa, è “un’ancella”, dove con questo termine s’indica una donna che è diventata una rarità nel nuovo mondo, sorto dalla catastrofe nucleare.
L’ancella, a differenza delle più, è ancora in grado di procreare, di mettere al mondo bambini. Infatti, la stragrande maggioranza delle donne è ora sterile, non è in grado di perpetuare la specie, perciò le poche donne fertili sono una rarità, un bene prezioso.
E come sempre accade, le cose più preziose sono appannaggio solo di chi può permettersele, dei ricchi e dei potenti, in questo caso e in questo tipo di società i potenti sono le alte leve che dirigono e occupano i punti nevralgici, i centri di potere e di comando del regime, i Comandanti.
Le poche donne fertili ancora esistenti quindi sono obbligatoriamente assegnate ai Comandanti, volenti o meno, costrette ma più spesso plagiate e influenzate, addestrate allo scopo con appositi corsi e lavaggi del cervello.
Le ancelle sono costrette a vivere nelle ricche e lussuose abitazioni dei Comandanti, ma soprattutto con loro sono costrette ad accoppiarsi nella speranza di donargli un figlio, la prole accresce la forza e il prestigio del comandante.
Le ancelle sono, per quanto riverite e considerate, anche se protette, tutelate, soddisfatte in ogni bisogno e in ogni richiesta purchè lecita e consentita, poco più che schiave sessuali, mirate alla procreazione che non al piacere in sé, sono letteralmente ancelle, oggetti di uso personale, e per meglio rilevare questo concetto, tanto aberrante quanto usuale, nessuna di loro ha un nome proprio, ma un nome che indica a quale potente, a quale comandante appartiene, di chi è proprietà, con chi deve ubbidientemente giacere.
Difred quindi non è più una donna, una persona, un essere libero, pensante e cosciente, ma una cosa che procrea, di assoluta proprietà del Comandante Fred, è Difred, appunto.
Esistono altre donne, certo, non fertili, fertili lo sono solo le ancelle, ma le altre donne hanno anche esse un loro ruolo, sempre sottostanti agli uomini: ci sono le Mogli, sempre vestite di azzurro cielo, sono le donne al vertice della piramide del potere al femminile, sono le mogli legittime dei Comandanti, ubbidite e rispettate da tutte le altre, ancelle comprese.
Esse sono per carisma, importanza e autorità pari ai mariti, solo che non essendo fertili, assicurano la discendenza per interposta persona.
Si rifanno cioè all’episodio biblico per cui una donna sterile invita il marito ad accoppiarsi con la sua ancella; alla nascita si prenderà cura lei del nascituro, come fosse il suo, e in tal modo assicura la discendenza al suo uomo.
Da tal episodio biblico, ripetutamente e ossessivamente citato ad esempio dalle autorità, è nata proprio la figura dell’ancella, in questo nuovo mondo.
Un mondo che, più che una dittatura in sé e per sé è una teocrazia, che predica un ritorno ai valori “tradizionali”, e quindi sono vietati l’aborto, il divorzio, i rapporti promiscui, sono valori pregnanti la castità e la morigeratezza, l’umiltà e l’obbedienza, la sottomissione e la mitezza.
Valori da sempre “tradizionalmente” utili ad asservire le donne.
Come le dice una volta la sua Zia, colei che l’addestra a divenire una brava ed ossequiosa ancella, una volta le donne era libere DI; nel senso che erano libere DI vestirsi con minigonne, libere DI uscire liberamente, libere DI frequentare qualsiasi uomo, ma anche, e come conseguenza, e giusta punizione divina, libere DI essere picchiate, libere DI essere violentate, libere DI essere brutalizzate, come meritavano per non essersi comportate da donne pie e caste e pure, destinate ai giusti, come la teocrazia al potere pretende e obbliga.
Le povere vittime di queste violenze sono addirittura costrette a fare pubblica ammenda di quanto subito, come se davvero fosse la punizione divina su di loro, per i loro costumi poco castigati.
Ora invece le donne sono libere DA; nel senso che sono libere DA qualsiasi obbligo, DA qualsiasi bisogno, DA qualsiasi incombenza, come per esempio pensare con la propria testa, leggere, istruirsi, scegliere, vivere.
E questa condizione DA è certamente da preferire, anche perché la sola concessa.
Come spesso succede alle vittime, anche per Difred scatta, dopo qualche tempo, quel meccanismo denominato “sindrome di Norimberga”, per cui l’incarcerato, il rinchiuso, finisce per affezionarsi alla prigione e ai suoi carcerieri.
Difred comincia a sentirsi “a casa” nelle stanze in cui è confinata nell’ampia casa del Comandante Fred, cui gradualmente si affeziona, perché i regimi assolutistici questo hanno di pericoloso: con il tempo ci si abitua a qualsiasi aberrazione.
Con “Il racconto dell’ancella” Margaret Atwood semplicemente richiama l’attenzione sulla condizione femminile ancora oggi, nonostante tutto, pervasa d’ipocrisia. Ancora oggi, per le donne, c'è tanto cammino ancora da compiere.
Perché non si giunga mai ad una società, dove le donne, fertili o no, sono ancelle. Sono di.

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Consigliato a chi ha letto...
....letteratura distopica in genere.
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