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Vivere nella Torre di Babele
Il Beanstalk è un grattacielo di dimensioni inusitate: alto 674 piani e con una superficie alle fondamenta proporzionalmente enorme ospita quasi mezzo milione di abitanti, molti dei quali non sono mai scesi a terra al punto da sviluppare la cosiddetta suolofobia, il terrore di trovarsi al di sotto del 50° piano, con sensazioni di soffocamento, nebbia cognitiva e allucinazioni. Il nome stesso dell’edificio ne dà una misura delle dimensioni, riecheggiando la favola di Jack e la pianta magica di fagioli (beanstalk). L’edificio è così grande che ha ottenuto lo status di nazione indipendente: ha il suo Servizio di sicurezza e le sue Forze armate. Queste ultime sono in costante conflitto con la Cosmomafia, una organizzazione criminale nata dalla dissoluzione dell’ex Unione Sovietica. Per accedervi è necessario superare infiniti controlli tra il 22° e il 25° piano, dov’è tracciata una ideale linea di confine con il mondo esterno. Però la gente che vi abita è mediamente felice, conduce una vita più o meno normale e, come nel mondo esterno, esistono corruzione, ma anche generosità, opportunismo ma pure idealismo, amore e odio, ricchezza e povertà (anche d'animo). Insomma sono presenti tutti i pregi e i difetti di una vita in comunità, con l’unica differenza che, qui, i rapporti si sviluppano su scala tridimensionale, piuttosto che bidimensionale e la questione non è solo formale, ma pure sostanziale al punto che le stesse discriminazioni sociali sono conseguenti all’altezza del piano in cui ci si può permettere di risiedere: gli ultimi cento piani sono riservati alla sola élite del grattacielo.
Questo volumetto raccoglie sei storie che si svolgono entro questo immaginifico palazzo. Quindi si comincia facendo la conoscenza con un gruppo di ricercatori che indagano su dove si accentrino i poteri occulti dalla Torre, e che scopriranno, con incredulità, che uno dei personaggi più influenti è un cane attore, nominato pure sindaco (cioè governatore e vertice assoluto) del palazzo.
Segue la storia di uno scrittore, prima dedito a opere di pesante critica contro l’establishment, che ora produce solo racconti sulla natura, perché s’è innamorato di una casetta a Frigiliana, un paesino sulla costa spagnola, che gli è stata donata (per corromperlo!) e che lui non potrà mai raggiungere perché è suolofobico e può ammirare i luoghi solo per mezzo delle svariate telecamere che sono installate in quella villetta.
Una giovane donna smuoverà l’intero web per cercare di salvare il suo ex-ragazzo che risulta disperso e, forse, gravemente ferito, in un desolato deserto, dopo che il suo aereo è stato abbattuto dalla Cosmomafia.
Ci sarà raccontato pure come il più aspro conflitto politico all’interno di Beanstalk sia tra il sindacato dei Verticalisti (che gestisce i trasporti in ascensore) e quello degli Orizzontalisti, che si occupano, invece, delle consegne in ogni singolo piano del grattacielo. Per reprimere le sempre più frequenti sommosse un’agenzia per la sicurezza interna farà portare a P.321 (il 321° piano) un elefante, per caricare i manifestanti, ma la povera bestia, troppo buona, susciterà solo simpatia e venerazione.
Infine la guerra tra Beanstalk e la Cosmomafia sembrerà giungere al suo tragico epilogo, con un crudele duello di spie e attentatori; ma, in fondo, il grattacielo non è una Torre di Babele come lo definiscono i detrattori, e, forse, la sua condanna non avverrà o sarà solo rimandata.
La nuova edizione, riveduta e corretta, contiene, poi, alcune storie autonome che, seppur collegate in qualche modo all’universo della Beanstalk, se ne discostano per contenuti e ambientazioni.
“La Torre” è, senza alcun dubbio, un libro assai strano. Viene classificato come antologia di racconti di fantascienza, ma l’unico aspetto fantastico è il luogo stesso in cui le vicende accadono: un grattacielo di dimensioni abnormi. Però le storie dei suoi abitanti potrebbero essersi verificate ovunque nel nostro mondo. La tecnologia e le relazioni umane sono quelle della nostra epoca, i sentimenti sono i nostri e la critica, neppur troppo velata, a corruzione, poteri occulti, capitalismo sfrenato, conflitti sociali, può essere estesa anche al nostro “mondo esterno”. In effetti il libro trae proprio la sua ragion d’essere dal desiderio, nemmeno troppo occulto, di analizzare attraverso la mimesi distopica e, forse, stigmatizzare, quando non proprio stroncare con sferzante ironia, i nostri malcostumi, i nostri vizi, le nostre “deviazioni”, i nostri falsi miti.
Purtroppo non tutto giunge immediato al lettore nostrano perché la società coreana, anche in questo libretto fantasioso, si manifesta in tutta la sua diversità, al punto che, addirittura, per evitare alcuni fraintendimenti, all’edizione italiana sono state premesse note chiarificatrici su alcune usanze.
Le storie sono tutte ugualmente surreali, come quella d’apertura in cui un gruppo di ricercatori cerca di localizzare i centri d’aggregazione del potere nella Torre, tracciando, con un particolare software, il percorso che fanno certi regali prestigiosi perennemente riciclati; in genere costosissimi distillati giapponesi che nessuno beve, ma molti donano per deferenza. O come ne “Il Buddha in piazza”, dove il povero elefante (si immagini quanto disorientato in un ambiente così innaturale) dovrebbe fare da spauracchio contro le manifestazioni di protesta non autorizzate lungo corridoi che a malapena ne reggono il peso. Le conclusioni, a cui giungono le storie, sono spesso volutamente paradossali, e di rado consolatorie.
Ho trovato affascinante il calarsi in quella cultura asiatica a noi non familiare, che, subisce i convulsi ritmi accelerati del vivere moderno, in modo ancor più frenetico e stordente di quanto lo sperimentiamo noi (e forse pure i giapponesi!), ma non dimentica la sensibilità buddista e le deferenze e il garbo, anzi il pudore profondo, nei rapporti interpersonali tipici della cultura orientale. Insomma una ambientazione doppiamente aliena, raccontata, però, con stile fluido anche se ancora un po’ acerbo (è stato il primo scritto dell’A., ancora giovanissimo, il quale, a distanza di dieci anni, lo ha rivisto totalmente, ma lasciandogli la freschezza iniziale) che si fa leggere e apprezzare. Certe “parabole”, certi ammonimenti, forse peccano di ingenuità, e la ricerca costante del lato etico nei comportamenti non sempre convince, ma nell’insieme la critica alla società coreana e, più in generale, alla nostra visione “occidentale” della vita, è ben mirata e colpisce nel segno.
I sei racconti - per quanto cronologicamente concepiti e inseriti con vaghi accenni, nei successivi, alle vicende dei precedenti - sono autonomi e abbastanza sgranati così da non fornire una storia unitaria, e l’unico elemento unificatore è proprio il palazzo-stato, con le sue leggi, spesso non scritte, e il suo habitat anomalo e inquietante. Alcune pagine sono davvero divertenti, altre appaiono più enigmatiche; ad alcuni racconti marca forse un finale realmente conclusivo, altri sembrano quasi un esperimento letterario per rendere tridimensionali (nel vero senso del termine) certi rapporti umani, ma, in definitiva si tratta di un libro decisamente curioso, ma anche grazioso e inusualmente divertente.