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Stagione di caccia
 
Stagione di caccia 2023-07-22 13:02:12 FrancoAntonio
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3.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    22 Luglio, 2023
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Il circolo della caccia… all’uomo!

Frank Blackwell era una persona tranquilla, il classico americano con un buon lavoro nel campo dell’editoria e una bella moglie di cui era innamorato. In vacanza con lei a Parigi, nell’ultimo giorno di soggiorno in città, s’era recato nel localino di cui erano soliti pranzare.
Mentre erano ancora al tavolo intenti a finire i loro piatti, era entrato un gruppo di suonatori che cantava in una lingua esotica. Dopo pochi istanti gli uomini avevano estratto alcune armi automatiche e fatto strage tra i presenti. Frank si era salvato miracolosamente, ma per sua moglie Claire non c’era stato nulla da fare: segata in due da una raffica di colpi. Come si scoprirà in seguito i terroristi (di origine montenegrina) pensavano, erroneamente, che nel ristorante si trovasse pure l’ambasciatore della Jugoslavia con sua moglie.
Claire uccisa per uno stupido errore da quattro terroristi fanatici? Tornato negli Stati Uniti, Frank non si dà pace e cova un solo desiderio: scaricare la sua rabbia e frustrazione ammazzando qualcuno, a caso, visto che i responsabili dell’attentato sono già stati abbattuti in un conflitto a fuoco con la polizia francese e non ci sono altri “bersagli” legittimi che possano servire a placare la sua furia.
Fermatosi a pranzare alla Taverna di Minska, un polacco ex mercenario che gestisce da anni un ristorante etnico nella 101a, dà sfogo alla sua depressione.
— È vero che facevi il mercenario? — Gli chiese Blackwell.
— Sì — disse Minska — è vero. Facevo il mercenario.
— E com’era?
— Per certi aspetti me la passavo bene. Ma dopo un po’ mi è diventato difficile giustificare la cosa in sé. Dovevamo uccidere troppa gente che a me sembrava che stava solo nel posto sbagliato. Così ho deciso di mettermi in affari con questo bar nel New Jersey e di fare il buon polacco.
— Dimmi una cosa — disse Blackwell. — Come si fa per unirsi ai mercenari?
— Perché vuoi farlo, Frank?
— A volte, per una serie di circostanze, ci si può trovare preda di sgradevoli emozioni che possono venire placate solo col sangue. Voglio ammazzare qualcuno, Minska.
Minska posò l’enorme mano da slavo sul braccio di Blackwell. — Frank, dà retta a me. C’è una via molto migliore di questa.

È in questo modo che Frank Blackwell viene reclutato da un’organizzazione segreta che programma accuratamente omicidi (le Cacce), quale sfogo per un’Umanità repressa. Tra gli obiettivi da eliminare ci sono pure assassini, terroristi e killer professionisti con appoggi nelle alte sfere. In pratica i nemici ideali per uno come Frank, che aderirà con perverso entusiasmo e verrà addestrato e formato in località segreta fino a quando non gli verrà comunicato il nominativo della sua vittima: un contras nicaraguense.
Da quel momento in poi, nulla sarà più come prima: accompagnato da Minska, che si è offerto di fargli da Battitore, dovrà affrontare criminali veri che non si fanno certo scrupoli a eliminare i loro simili e la sua vita sarà più volte in pericolo.

Robert Sheckley è stato uno dei colossi della fantascienza della seconda metà del secolo scorso. Specializzato soprattutto in storie brevi cariche di una bruciante ironia, aveva raggiunto la notorietà con il racconto “La settima vittima” (divenuto pure un film diretto da Elio Petri) dove, in un mondo in cui gli omicidi sono legalizzati e istituzionalizzati, per sfogare la propria rabbia è sufficiente iscriversi al Club e partecipare alle uccisioni, alternativamente come Cacciatore e come Vittima.
Questo romanzo è quasi un prequel a quella vecchia novella: la Caccia non è ancora legalizzata, ma ci si sta adoprando per farlo. In compenso gente che vuol ammazzare qualcun altro per i motivi più vari se ne trova ogni giorno di più: quindi perché non fare affari con loro? Erroneamente inserito nella letteratura fantascientifica, appare più un'assurda parodia dei vari romanzi spionistici alla James Bond.
Come al solito Sheckley è acutamente satirico e in questo romanzo ha l’opportunità per prendere di mira, è proprio il caso di dirlo, molteplici organizzazioni più o meno irregolari del nostro mondo reale. Così vengono messi in burletta i vari gruppi rivoluzionari e controrivoluzionari centramericani (contras, sandinisti e bande libertarie di ogni sorta) giocando ed esacerbando tutti i luoghi comuni su di loro. Ovviamente, non possono mancare gli agenti della CIA, imbranati e traffichini, che intrallazzano con chiunque senza badare al fatto che spesso entrano in contraddizione pure con loro stessi. Non da meno sono gli ecologisti radicali, che non si fermano di fronte al delitto per sostenere la loro lotta contro chi viene considerato avvelenatore della Terra. Essi trovano una geniale incarnazione nella Compagnia Bahamas, dove scienziati da premio Nobel si dedicano a metodi mafiosi per mandare avanti la loro lotta. E, per finire, belle tenebrose, cinici killer, contrabbandieri e trafficanti d'armi, infarciscono la storia.

I ritmi sono quelli della spy-story con continui ribaltamenti di fronte e colpi di scena che mutano il gioco delle parti. Forse è eccessivo il numero dei personaggi coinvolti con il rischio di domandarsi da che parte sia schierato questo o quel tizio che compare in azione. Presi singolarmente sono il più delle volte divertenti e comicamente bizzarri, ma il passare dalle vicende di uno a quelle di un altro causa disorientamento e confusione, e frammenta la narrazione.
L’azione è giocosamente arruffata, non sempre divertentissima, ma sicuramente non seria. In parte la trama soffre del passaggio temporale trascorso dalla sua uscita: le vicende, chiaramente ucroniche, sono troppo legate alla situazione politica mondiale della fine degli anni ’80, ma con un po’ di immaginazione si riesce a calarsi nell’ambientazione e dimenticare che la storia è andata avanti.
Lo stile è assai poco corretto politicamente e, forse, oggi, alcune espressioni e battute verrebbero condannate perché ritenute discriminatorie se non addirittura apertamente xenofobe e razziste, ma il bello di Sheckley è che non risparmia nulla a nessuno, con una equa distribuzione di feroce ironia per tutti.
Insomma un romanzo grazioso, magari non inseribile tra la miglior produzione dell’A. (che, come detto, eccelleva soprattutto nelle storie brevi), ma godibile e intelligentemente critica dei nostri comportamenti.

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